La lezione dell'Opera San Francesco per Roma
Cosa insegna il Bilancio sociale dell’associazione no profit su povertà e minori. Appunti per la Capitale
In attesa che il genio europeo di Virginia Raggi riesca a eliminare i “campi roaming” e altri tipi di costosi abusi migratori; in attesa che il ministro dell’Interno Marco Minniti riesca a spiegarle perché più delle demagogie funziona il “modello Milano”, cioè il protocollo sottoscritto dal prefetto Luciana Lamorgese e da ottanta sindaci per la ridistribuzione di cinquemila migranti, a Milano c’è un altro modello che funziona, con i ritmi e i conti in ordine di una buona azienda. Solo che fa welfare. Prima accoglienza, anzi meglio accoglienza continuativa di base. Martedì 13, l’Opera San Francesco dei Cappuccini ha presentato il suo Bilancio sociale, come fa da otto anni. Il bilancio sociale è una buona pratica, non si limita a rielaborare i dati quantitativi di un ente, è anche un processo conoscitivo per misurarsi con la propria mission. E aiuta anche a fare trasparenza nel mondo spesso opaco del terzo settore. Marco Grumo, responsabile della Divisione non-profit di Altis, l’Alta scuola impresa e società della Cattolica, che da sempre cura dal punto di vista scientifico e metodologico il lavoro, dice che questo Bilancio sociale “mette in luce una best practice del non profit italiano, che potremmo definire una ‘organizzazione scientifica della carità”.
L’Opera San Francesco è stata fondata nel 1959. Non c’era l’immigrazione straniera. I numeri del 2016 sono significativi: 25.162 persone hanno avuto accesso ai servizi (mensa, docce, guardaroba, housing, poliambulatorio, medicine). Il servizio più frequentato è la mensa per i poveri: 17.614 utenti. Poi il Poliambulatorio, 8.709 utenti, provenienti da 13 diverse nazioni. In totale oltre 25 mila persone accolte da 131 nazioni, quasi 750 mila pasti serviti, 33 mila visite mediche e 66 mila docce. Un punto interessante è che delle persone che si sono rivolte alle strutture di viale Piave e via Kramer l’11,7 per cento è italiano. In mensa, sono la maggiore comunità (14,4 per cento). Poi marocchini (10 per cento) e rumeni (9,4 per cento).
L’altro dato nuovo di quest’anno, però, è quello relativo ai minori non accompagnati, aumentato sensibilmente. Una utenza solitamente marginale, è decuplicata. Padre Maurizio Annoni, che guida l’Osf, dice: “Una volta ai nostri servizi mensa o doccia avevamo al massimo 5-6 minori. Oggi arriviamo a contarne 50-60”. Al mese.
Nella lettura del problema migratorio messo a fuoco dal Bilancio sociale dell’Osf il tema dei minori è cruciale. E, a leggerlo, ha una prospettiva nazionale: una delle potenzialmente più esplosive del problema della gestione dei flussi (e qui, sui minori, è anche giuridicamente più difficile parlare di respingimenti). In vista della Giornata mondiale del Rifugiato (20 giugno) Save the Children pubblica il primo “Atlante minori stranieri non accompagnati in Italia” uno screening tra il 2011 e il 2016. Tra gennaio 2011 e dicembre 2016 sono sbarcati in Italia 62.672 minori senza adulti di riferimento (Eritrea, Egitto, Gambia, Somalia, Nigeria e Siria), con un numero in crescita di 6 volte: 4.209 nel 2011, 25.846 nel 2016. E’ triplicata la presenza di preadolescenti e bambini nella fascia 0-14 anni. Ieri e oggi, alla Sala Alessi del Comune, Save the Children ha organizzato, in collaborazione con il Comune, un forum nazionale sul tema “Proteggere, accogliere, crescere insieme. L’attuazione della nuova legge per i minori stranieri soli”. Il settore delle Politiche sociali di Palazzo Marino ha in carico attualmente 1.250 bambini stranieri non accompagnati, un costo di 2,6 milioni di euro, ora però in gran parte finanziati dallo stato. Che finanzierebbe, crediamo, anche il comune di Roma. Ci sono cose che si possono fare, evidentemente.
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