Tablet e libertà
Il tema dei costi (farlocco) e quello dell’e-voting (più serio) spruzzano un po’ di nebbia sul referendum
La prima nebbiolina di stagione che avvolgeva ieri le cime del Pirellone e di Palazzo Lombardia sembrava replicare una certa nebbia confusa che, a tre giorni dal voto, tenta di avviluppare il referendum sull’Autonomia indetto dal Consiglio regionale lombardo (e non dalla Generalitat di Bobo Maroni), in parallelo a quello che si svolgerà in Veneto. Su Rep. capita ancora di leggere che “si tratta di consultazioni legali”, come non bastasse quanto sta scritto dalla Costituzione più bella del mondo. L’informazione generale non è altissima, ieri Roberto Maroni ha fissato l’asticella della affluenza utile (non c’è quorum) al 34 per cento. Un numero che però rischia di essere un autogol per la causa, un po’ come il referendum curdo. Ieri la notizia che il Viminale ha chiesto a Veneto e Lombardia il rimborso delle spese per gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate ai seggi ha agitato un po’ gli animi nordisti. Solo che mentre Luca Zaia ha gridato alla prevaricazione centralista, evocando Marco Pannella, che di referendum se ne intendeva, cui giustamente non venivano addebitate le spese organizzative, Bobo Maroni con più oculatezza ha risposto che è tutto in ordine: “Ci hanno chiesto 3 milioni e mezzo per la sicurezza ai seggi. Non è una sorpresa, sapevamo che tutti gli oneri erano a carico delle regioni. Sono costi aggiuntivi che abbiamo messo a bilancio”. Anzi, ha rilanciato: “Vuol dire che lo stato riconosce che la regione può avere competenza anche sulla sicurezza”. Del resto sul dossier dei costi il governatore lombardo ha dovuto prepararsi. Per vari motivi, tra cui l’acquisto di 24 mila “voting machine” per consentire il primo esperimento italiano di e-voting (11 milioni di euro più altri 9 tra software e assistenza tecnica) il referendum lombardo costerà circa 50 milioni di euro. Il che ha indotto la sinistra, Pd compreso, a cavalcare come elemento un po’ stracciarolo e populista di campagna elettorale il tema “si buttano i soldi dei cittadini”. Dimenticando che votare non è mai buttare soldi. E che i 24 mila tablet acquistati verranno poi gratuitamente distribuiti alle scuole (pubbliche) sede di seggio, che li avranno in dotazione. Una dote scuola da 11 milioni non fa di certo male.
Ma la questione dei tablet è quella che rischia di soffiare la nebbia più spessa sulla consultazione di domenica. Il tema è tecnico, ma sottilmente politico e allo stesso tempo decisivo. Le tecnologie per il voto elettronico nel mondo non hanno ancora standard di sicurezza universalmente riconosciuti. Persino nella vicina Svizzera il dibattito su come usarlo procede a rilento da anni. Secondo alcune associazioni della società civile e alcuni esperti di sistemi informatici, che si sono fatti sentire nelle ultime settimane, il sistema non garantirebbe la segretezza del voto: il nome dell’elettore viene registrato come in una normale lista elettorale, la sua scelta invece in un’altra parte del sistema dedicato. La regione assicura non c’è alcuna possibilità tecnica per associare – se qualcuno pure volesse – il nome al voto. Ma i critici sostengono che la cosa non è così sicura. E’ scesa in campo anche l’Associazione Enzo Tortora, ossia i Radicali Italiani, che hanno invitato a recarsi ai seggi ma rifiutare il voto e far mettere a verbale la rinuncia. Perché ci sarebbe un altro problema: i voti elettronici non hanno (tranne un 5 per cento di seggi in cui sarà possibile) una parallela stampa su carta e in tal modo potrebbero essere manipolati: “Al momento non esiste tecnologia in grado di garantire che il voto registrato nel database corrisponda al voto effettivamente espresso”, sostengono. Occorrerebbe dotare ogni seggio di una stampante per mantenere una “ragionevole verificabilità”, ma non è stata prevista. E in Venezuela non siamo, e neppure nella Sicilia immaginaria paventata dai Cinque stelle. Però siamo in Lombardia, e a ottobre capita che ci sia un po’ di nebbia.
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