Lo scandalo (forzoso) dei tradizionalisti cattolici
Le 120 teste d’artista della chiesa di Gallarate e lo sdegno dei bigotti
La gita fuori porta si deve al fatto che il vescovo di Milano, Mario Delpini, è stato tirato un po’ per lo zucchetto per aver celebrato la messa inaugurale del nuovo altare della basilica di Santa Maria Assunta a Gallarate. Come se fosse opera sua e, soprattutto, come se si fosse prestato a qualcosa sul filo del sacrilegio. Il nuovo altare – ma l’opera comprende anche l’ambone, la tribuna a lato dell’altare dalla quale vengono proclamate le Letture – inserito nel più generale restauro della basilica è opera dell’artista Claudio Parmiggiani, oggi 75enne e non esattamente uno qualunque, essendo stato uno dei protagonisti, pur senza appartenenze marcate, delle avanguardie degli anni Sessanta e onusto di molteplici riconoscimenti internazionali.
Tra le altre cose, non è nuovo a interventi in edifici sacri: nel 2014 ha realizzato una “Corona di spine” sull’altare maggiore della chiesa di San Fedele a Milano, che è molto bella. Ma torniamo all’altare. Che l’artista definisce così: “Due luminose lastre marmoree sovrapposte che trattengono e proteggono, quasi materno pellicano, una moltitudine di teste antiche; reliquie ed emblemi di una sacralità, di una umanità, di una totalità”. Apriti cielo. Alcuni fedeli gallaratesi hanno dato voce a commenti di scandalo e protesta.
L'altare di Claudio Parmiggiani per la Basilica di Gallarate (Askanews)
Forse non esattamente avvezzi alle spiazzanti distopie dell’arte contemporanea, forse più tradizionalmente abituati alle brutte architetture e alle ancora peggiori decorazioni delle parrocchie padane e sub-prealpine – piene di quegli altari finto Rococò che avrebbero fatto ululare Gadda, con tutti quei putti e angioletti e fogliami che forse erano evangelici pampini di vite, ma nei secoli se n’è perduto lo stampo – i gallaratesi, amplificati dai loro circoli social, hanno protestato: sembrano teste mozzate dai musulmani: vogliamo fare pubblicità all’Isis? Oppure: non c’è niente di sacro. Oppure: è una cosa che evoca la morte e non la resurrezione. Si può giudicare come si vuole, ovviamente: è solo arte, per quanto sacra.
C’è un pregiudizio di costume ecclesiastico, per così dire, e culturale e che vale la pena segnalare. Innanzitutto, sulla qualità dell’opera. Che allo scoppio della polemica, qualche giorno fa, Avvenire ha prontamente difeso come “un lavoro denso, carico del senso della storia e della liturgia, e ricco di spunti”. Le teste “decapitate” che costituiscono la base e la struttura dell’altare non sono, innanzitutto, teste decapitate. Sono come reperti della storia dell’umanità, sono copie di sculture famose del passato: da Fidia a Michelangelo, da Bernini a Canova. E sono – o almeno tentano di essere – un’evocazione dell’avventura umana, segnata dalla morte e dalla possibilità della Salvezza.
Niente di particolarmente blasfemo o non-pertinente, in una chiesa. E ovviamente sono anche un’evocazione dei corpi dei santi e dei martiri, che nella tradizione cristiana sono spesso posti a base stessa degli altari. Si può al limite sostenere che l’opera non valga il biglietto, e che forse l’apposita commissione artistico-teologica che ha accompagnato in un “lungo percorso di riflessione e gestazione” l’artista e il benefattore che ha agito da “committenza privata” poteva riflettere meglio. Ma sono valutazioni da critici, e se la storia dell’arte è piena di capolavori nell’80 per cento dei casi è dovuto al fatto che la committenza, spesso religiosa, sapeva cosa fare.
Ma utilizzare l’altare di Gallarate, come ha fatto qualcuno, per rilanciare la polemica tradizionalista sull’“arte degenerata” del post Concilio è una pagliacciata priva di fondamento. Tanto più se per sparare nel mucchio si prova a coinvolgere l’attuale vescovo di Milano, che è sulla cattedra di Ambrogio da poco tempo. L’aspetto più preoccupante delle polemiche va però più a fondo. Le 120 teste di Parmeggiani hanno raccolto commenti che vanno dal “macabro” all’“inquietante”. C’è chi ha scritto che distolgono “dalla serenità d’animo con cui ci si accosta alla preghiera” e chi addirittura si preoccupa per “quei poveri chierichetti. Mi viene l’angoscia”. Qualcuno di mente aperta ha detto: “Del significato proprio non sento nemmeno l’esigenza che mi venga spiegato. Orribile e basta”.
Sul suo seguitissimo blog, l’ex vaticanista tradizionalista e antibergoglista seriale Marco Tosatti è riuscito a paragonarlo a uno “tzompantli” – la struttura di legno che in alcune culture mesoamericane servivano a conservare ed esporre teschi umani a scopo di esibizione politica o sacrale. Idea forzosamente polemica, e un po’ bislacca. Sembra che nessuno sia venuto in mente che spesso gli altari dei primi cristiani erano proprio le tombe dei martiri. Ma sembra allo stesso tempo che nessuno abbia notato che non sono teschi, ma sculture. Quindi il loro riferimento con la vita, la morte, il Giudizio o la Resurrezione è qui mediato, simbolizzato.
Ma sembra anche che questi attoniti fedeli così facili a smarrirsi nei pericolosi meandri della modernità non abbiano mai neppure sentito nominare la chiesa di San Bernardino alle Ossa, a Milano, dove intere pareti sono ricoperte di teschi e ossa provenienti da antichi cimiteri medievali e dell’Ospedale Maggiore (e non saranno stati tutti stinchi di santo, no?). Stanno lì, a fare bella mostra di sé e a ricordare i Novissimi ai fedeli. Che roba sacrilega, eh?
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