Brutte mascherine
Fontana allarmista, i giornali ciellenistici e i noiosoni. Milano ha un virus di comunicazione
Le maschere sono un buffo problema di carnevale, ma a volte diventano un serio problema di comunicazione politica. Domani è Sabato grasso, ma soltanto qui, mentre in tutto il resto del mondo la data di scadenza per questo rito senza più significato specifico era martedì. Curiosamente, vuole una delle molte leggende agiografiche che il carnevale ambrosiano duri più a lungo proprio a causa di un’epidemia o di una pestilenza che aveva fiaccato fino allo stremo la città. Il vescovo Ambrogio, mosso a compassione del popolo, avrebbe chiesto e ottenuto dal Papa una dilazione, poi divenuta perpetua, dell’inizio della Quaresima, onde far godere la festa (e soprattutto mangiare di grasso) qualche giorno in più ai milanesi. Quest’anno è in ogni caso un carnevale differente, con le maschere ma con meno struscio, surreale come una partita di calcio a porte chiuse. Ma fatto apposta per gonfiare come frittelle e “bugie” le metafore della comunicazione politica. Sarà lo stress, come gli ha riconosciuto pure il capogruppo Pd al Pirellone Pietro Bussolati, sarà la voglia di trasparenza (uno dei vizi in assoluto peggiori, per un politico) ma l’idea del governatore Attilio Fontana, mercoledì sera, di infilarsi in favore di telecamere una mascherina per annunciare la sua personale entrata in quarantena – una collaboratrice di Palazzo Lombardia sarebbe risultata infettata dal Covid-19 – è stata pessima dal punto di vista della comunicazione e ha provocato, col suo essere un inevitabile moltiplicatore su scala internazionale dell’effetto panico, un danno d’immagine difficilmente recuperabile. Fontana, di pari passo col sindaco di Milano Beppe Sala e le altre istituzioni, provano da giorni a tenere freddi i toni e a scongiurare derive emotive, anche per evitare ricadute peggiori su un’economia lombarda in affanno. Mercoledì era stato il giorno in cui un effetto “cambio di tono”, per quanto posticcio o puramente mediatico, iniziava a farsi sentire in città. E Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, aveva appena finito di diramare un bollettino di guerra contro i catastrofisti (governo nazionale, seppur mai nominato, in testa) in cui si stigmatizzava il “danno reputazionale” conseguente a una gestione allarmistica del caso coronavirus. E Fontana che fa? Si infila nel carnevale in maschera dalla parte contromano del corteo.
Ma non è soltanto il paziente 1 del governo lombardo ad avere un problema di comunicazione. Ieri è stato il giorno di un generalizzato – forse fortuito, ma è l’aria che tira in città – tentativo di cambio di passo mediatico. Un giornale milanese di simpatie leghiste come Libero, dopo giorni di titoli a tutta pagina come “Prove tecniche di strage”, ieri titolava “Virus, ora si esagera”. Repubblica, una garanzia per i titoli allarmistici, ieri aveva invece un ciellenistico “Riapriamo Milano”. E il Corriere, che pure sparava in prima il Fontana in mascherina, aveva un premiale “L’Oms: Bene l’Italia, basta panico”. Un eccesso di volontarismo troppo acrobatico per riuscire davvero rassicurante.
Beppe Sala ha lanciato l’hashtag #Milanononsiferma e chiede a gran voce di tornare alla normalità, di riaprire almeno i teatri e i musei e non solo i bar alla sera. Tutto bene, non fosse tutt’attorno l’effetto provinciale e deprimente, da Milanese Imbruttito (che infatti ha sfornato il suo video d’ordinanza) delle milioni di battute e frasette sceme che rimbalzano ovunque su quanto è bella Milano senza traffico e senza dover prenotare al ristorante. L’altra faccia di medaglia della mascherina di Fontana. Milano ha un virus di comunicazione.
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