Ripa del Naviglio
“Fuga dalla città” è una Lonely planet politica per orientarsi in un futuro ferito
Doveva chiamarsi "La città degli eletti", ma lo scoppio della pandemia ha costretto l'autore a scrivere il libro da capo: fra le interviste a Sala e Boeri, è nata una guida alla ripartenza nel luogo simbolo dell'innovazione italiana
Fabio Massa è un cronista robusto, le notizie gli piacciono e gli piace scriverle veloci, senza guardare che parte pendono. E’ un collaboratore (ormai) storico della pagina GranMilano, dunque si può fare a meno dei preamboli. Tanto non gli piacciono. E’ utile invece per chi ama Milano, e si interessa della sua politica e delle sue policy, e voglia mettere in ordine i perché delle notizie recenti di questa non-capitale ferita e ingrigita, leggere il suo libro fresco di stampa, per l’editore Chiarelettere, Fuga dalla città. Una “inchiesta sulla metropoli simbolo di un’Italia che fa fatica a rialzarsi”. Un libro giornalistico, appunto, “ambientato” in questo anno orribile che ha fatto crollare, metaforicamente, la sua skyline sberluccicante. Costruito non con il contrappunto, che sarebbe noioso, ma con il contributo tema per tema di alcune interviste a personalità chiave della città: da Beppe Sala a Giuseppe Guzzetti, da Ferruccio Resta ad Attilio Fontana a Stefano Boeri. E i temi, appunto: la sanità, la fuga fisica e di smart working dalla metropoli, la cultura sgonfiata, l’edilizia da reinventare.
“Iniziate dall’inizio e andate avanti fino alla fine. Poi fermatevi”, disse il Re a Bianconiglio. Ma siccome il Paese delle meraviglie non c’è più, si può contravvenire al Re e partire invece dalle conclusioni di Massa. Che non sono invettiva né lamentela. C’è invece Ursula von der Leyen il 28 novembre 2020 alla Bocconi, nel suo meneghino incerto: Milano “brulicava di vita, il virus ha portato silenzio e dolore, ma Milan l’è un gran Milan”. Perché la città non è più “the place to be”, ma rimane pur sempre, in Italia e con una bella proiezione europea, un “there is no place like home”, per dirla col Mago di Oz. Non c’è un’altra città, in Italia, dove la forza, la ricchezza, la capacità d’innovazione possano ripartire altrettanto bene. Alla fine del libro si scopre che il titolo avrebbe dovuto essere un altro: “Si sarebbe dovuto chiamare La città degli eletti. Oppure La torre d’avorio. Ha avuto una gestazione assai lunga: quattordici mesi. Tanto quanto basta per scriverlo, vedere la torre crollare e gli eletti venire travolti dal Covid, l’immagine dell’eccellenza sporcata, la ricchezza diminuita. E dunque scriverlo da capo”.
Si può tornare all’inizio: “La fuga dalla città, durante la prima ondata di Covid-19, ha il rumore dello scalpiccio lungo gli scalini della Stazione Centrale”. Poi la fuga che si è tramutata nei due principali problemi della Milano di oggi, morti a parte: il fisico trasferirsi altrove e lo smart working, croce e forse delizia del futuro. E provare a mettere ordine su come e perché la sanità che era “eccellenza” è caduta. Lo spaesamento dell’abitare in un ex paradiso di alberi verticali che ora deve pensare a come far tornare i giovani a basso reddito. Un sistema culturale a cui non basterà soltanto “riaprire”. E le ferite sanguinose, nella città che è sì la “città dei diritti”, ma anche quella dei rider senza contratto, degli schiavisti delle fragole, del caporalato all’Ortomercato, dei 20 mila bambini in povertà più assoluta. In tempi normali, il libro di Fabio Massa avrebbe potuto essere un vademecum per le imminenti elezioni del nuovo sindaco. In tempi di pandemia, è diventato una Lonely Planet per orientarsi in una città in fuga da se stessa, ma che non può permettersi, né lo vuole, una resa.
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