60 anni Pirellone
Grattacielo e Città
Una mostra, ma per l'oggi
Al 26esimo piano del grattacielo di Gio Ponti immagini e testimonianze sulla storia di un palazzo-icona. Che nacque privato e oggi è pubblico, Bisogna guardarla pensando all'oggi, alla possibilità di trasformazione che l'economia sa mettere al servizio di tutti
Dopo la pausa d’agosto, ha riaperto al 26esimo piano del Pirellone una bella mostra dedicata al sessantesimo compleanno del grattacielo oggi sede del Consiglio regionale, che vale la pena recuperare perché è molto più attuale di quel che si potrebbe pensare. Curata dalla Fondazione Pirelli (nel suo Archivio storico sta la maggior parte dei materiali di Gio Ponti relativi al grattacielo progettato a metà degli anni Cinquanta) e dalla Regione Lombardia, la mostra si intitola “Storie del Grattacielo. I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali di Regione Lombardia”. Ma l’accento, per chi decida di visitarla, va posto più sulle “storie”, il racconto di una “città che sale”, e che da allora non ha mai smesso di farlo, che non sul pur importante doppio ruolo istituzionale che l’affilato grattacielo di Ponti esercita dal 4 aprile 1960, data dell’inaugurazione ufficiale.
L’interesse e la godibili della mostra sono presto detti, soprattutto per quei milanesi che per motivi anagrafici faticano anche solo a immaginare che quel “piccolo grattacielo” (in fondo è alto solo 127 metri) slanciato era nato col destino di emergere dalla nebbia e dai fumi di fabbrica di una città industriale e orizzontale: “Non poggia su un basamento ma emerge, circondato da un vuoto che e lo distacca dai corpi bassi circostanti, come un missile che parte dal sottosuolo”, per usare la descriizione che ne fa Lisa Licitra Ponti, figlia dell’architetto, in un bel libro, “Gio Ponti e Milano”, pubblicato un paio d’anni fa da Quodlibet e che cataloga le 40 opere milanesi del celebre architetto-designer. Al 26esimo piano sono esposte fotografie, videoinstallazioni e disegni che aiutano a comprendere l’opera e l’epoca, ma anche filmati di repertorio e testimonianze (il catalogo è di Marsilio). Il tutto in funzione non solo di un tuffo nella memoria, ma anche della comprensione di ciò che Milano è diventata ed è. “Questo palazzo è frutto dell’impegno e della capacità creativa di architetti e ingegneri italiani e della volontà di un’azienda di avere un simbolo”, ha detto Marco Tronchetti Provera, presidente della Fondazione Pirelli. Il Pirellone è stato il simbolo del boom economico, negli anni in cui la città diventava una capitale di prima importanza dell’industria “pesante” ma anche della creatività e del design. Una trasformazione rapida e contraddittoria – le fotografie di quegli anni raccontano i quartieri di baracche degli immigrati, venivano chiamati “le Coree”, il politicamente corretto non esisteva, che sorgevano attorno alle nuove aree edificate, compreso il Pirelli – ma che alla fine si rivelò vincente.
E’ interessante ricordarlo oggi, mentre va in scena la “rinascita” trainata dal design e dal Salone del Mobile, uniche industrie, ma “leggere” sopravvissute da quei decenni. E nei giorni in cui sono stati presentati due nuovi progetti, destinati a cambiare ulteriormente la città. Il primo è CityWave, la “torre orizzontale” per uffici a CityLife, totalmente alimentata da energie rinnovabili curato dall’architetto Bjarke Ingels. Il secondo è la Msg Arena, il palazzetto olimpico che verrà realizzato a Santa Giulia e diventerà poi luogo per eventi e concerti: operazione che il Comune ha affidato a Risanamento e alla società tedesca Cts Eventim (colosso mondiale dell’entertainment) che avrà poi la gestione dell’impianto. Per entrambe le iniziative si sono sentite anche critiche, per quanto di diverso argomento. Per CityWave si sono mossi i teorici della decrescita urbana, secondo cui in epoca di smart working costruire nuovi e giganteschi spazi per uffici sarebbe un inutile sfregio alla città. Per l’arena olimpica il tema è stato invece il ruolo dei privati: forse dimenticando che, senza di loro, la mano pubblica non avrebbe le forze di costruire. Il Pirellone oggi è stato surclassato su Instagram dal Bosco Verticale. Ma resta ancora, per i milanesi, l’icona di un edificio che rappresenta tutta la città e la sua storia. Che sia nato privato, anzi sede aziendale, che sia oggi al massimo grado pubblico, non importa: è il Pirellone, è Milano, è sempre stato e sempre sarà di tutti.
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