Livio Togni
Il senatore si trova proprio lì, a pochi passi da un elefante (vero). Seduto accanto a un tavolo da campo, fra una carovana di legno intagliato e una roulotte bianca che funge da quartiere generale della sua grande impresa: che non è una campagna elettorale all'americana, è il circo Darix Togni.
Dal Foglio del 17 giugno 2001
Il senatore si trova proprio lì, a pochi passi da un elefante (vero). Seduto accanto a un tavolo da campo, fra una carovana di legno intagliato e una roulotte bianca che funge da quartiere generale della sua grande impresa: che non è una campagna elettorale all'americana, è il circo Darix Togni. È al centro della piazzuola di un grande capannone, dove riposano gli uomini e gli animali che non sono partiti per la tournée estiva. Osserva, un poco stupito, il clamore suscitato dai giornali a proposito della sua elezione al Senato della Repubblica, come indipendente nelle file del partito del compagno Bertinotti. Livio Togni scuote la testa, timidamente, e azzarda: “Mi sono candidato per gioco, ma poi ho capito che c'è bisogno di tanta sinistra nella società”. Certo, senatore, ma prima ci spieghi: che cos'è il circo? “Lei come lo immagina?”, contrattacca. “Un viaggio infinito?”, proviamo. “Risposta sbagliata. Cambiano solo gli scenari: Dublino, Parigi, Budapest, Londra. Il Po, la Senna, Il Danubio, Il Tamigi… Sono gli altri che si muovono, noi stiamo sempre fermi sulla nostra isola”.
Sarà. Ma questo neosenatore dalle mani callose e lo sguardo schietto, in questo simile agli abitanti del borgo che ha scelto come residenza, quando sta fermo, e cioè Rio Saliceto, a pochi chilometri dalla patria di Peppone e don Camillo, di strada ne ha fatta tanta. Altro che isola. Viaggiano, i Togni. Da quando, nel 1876, il bisnonno Aristide lasciò l'impiego statale, in Francia, per unirsi al circo. Complice l'amore per una cavallerizza, Teresa. Allora le carovane attraversavano le Alpi trainate dai cavalli e dai cammelli. Perciò c'era chi nasceva d'estate in Liguria e chi nasceva d'inverno in Piemonte. Nonno Ercole per esempio, che faceva il clown, è nato a Sanremo, durante la stagione estiva. Oltre al nonno c'erano Ugo, Cesira, Teodolinda, Riccardo, Adele e Maria. E poi i figli di nonno Ercole: Darix, Vioris, Vanette, Dolly e Led. E poi ancora i figli di papà Darix: Danila, Corrado, Nieva e Livio. Tutti clown, funamboli, acrobati, domatori e trapezisti, attori, giocolieri e cantanti. Tutti insieme: ore, giorni, anni e lustri a cantare per un secolo la commedia dell'arte del circo che fu, quello narrato da Fellini nei “Clowns”, film che riecheggia, fra l'altro, anche le gesta della famiglia di Mamà, la signora Fiorenza Fratellini, madre di Livio. (Per quanto nel film compaia invece Liana Orfei, stella dell'altra grande famiglia circense italiana, famiglia che, tanto per completare il gioco delle simmetrie, professa oggi idee politiche di destra). Tutti tranne due. Nevia che ha lasciato il circo per amore (“nella nostra famiglia tutto si fa per amore”, ci dirà più volte Livio) e ha sposato un dentista di Palermo. E Livio, appunto: primo senatore della Repubblica italiana nella storia della strabordante dinastia circense. (Ho provato a contarli. In tutto i Togni fanno sessanta solo fra mogli, mariti e figli. Mancano al conteggio finale i nipoti, i pronipoti e i cugini).
Il senatore, tanto per non smentire il buon sangue, di figli ne ha quattro, due maschi già grandi, che lavorano già nel circo e due bimbe piccole. La sua seconda moglie è venezuelana. Si chiama Elsa e faceva la funambola. “Ci siamo innamorati su un filo”, scherza. “Ora sto studiando il bacino del Po”, dice tornando serio, alla politica. “Perché gli elettori che mi hanno votato sono quegli abitanti della bassa padana che ogni giorno sono costretti a lottare contro gli argini del loro fiume. Mi batterò perché il Po non sia più visto come un problema, ma come una risorsa”. Il Grande Fiume e il compagno Peppone. La sua idea del comunismo è molto semplice, anche se forse non perfettamente ortodossa. Per il senatore Togni il comunismo è il circo in cui è nato, vissuto e cresciuto. Nel senso di una grande famiglia in cui nessuno è solo. Dove tutti vanno avanti senza mai dimenticare chi è rimasto indietro (ma qui lo slogan sembra quasi berlusconiano). “Dentro la famiglia l'uomo è buono”, riflette, “fuori è una belva”. Per lui infatti la giustizia terrena significa ridistribuire il bene fra tutti per ridurre il male. “Insomma il nostro circo è come una comune, dove ognuno fa la propria parte”.
È nato a Milano, dove ha vissuto fino a sette anni l'unico periodo stanziale della sua vita, studiando al San Carlo, collegio arcivescovile dirimpettaio del Cenacolo di Leonardo, insomma non proprio una scuola di sinistra. Il senatore Livio Togni ha un soprannome che gli diede papà Darix: Spartaco. “Diceva che avevo il complesso di Spartaco perché volevo aiutare sempre tutti i più deboli”, si schernisce. “Papà ha insistito perché studiassi la matematica. Non voleva che diventassi un acrobata, ma il direttore del circo, insomma un imprenditore”. A sette anni ha iniziato a viaggiare. E non ha più smesso. Per mettergli sale in zucca, papà Darix assoldò un maestro che, come in un romanzo, per dimenticare una struggente storia d'amore mollò armi e bagagli e partì con il circo. (“È l'amore il Leitmotiv della saga dei Togni” ribadisce Livio). Si chiamava Ottavio, il maestro che insegnò al futuro senatore a far di conto. E anche Ottavio, fra ippopotami, bisonti ed elefanti dimenticò il mal di cuore e si innamorò del circo. Sulla pista, Livio ci è arrivato a dieci anni. Durante gli spettacoli della domenica mattina. “Suonavo la tromba, ammaestravo i cavalli e salivo sul trapezio per fare i salti mortali”, ricorda.
Poi, a venticinque anni, papà Darix che negli anni 50 era famoso come un divo ed è stato immortalato in vecchie foto in bianco e nero nel suo costume da gladiatore in compagnia del re d'Egitto, Faruk, è stato vinto dalla leucemia. Ed è finita un'epoca. Dopo Darix Togni, che aveva incantato le folle con il suo numero nella gabbia dei leoni, parlando con le belve e mostrando il suo corpo scultoreo, ci fu una fase di smarrimento per la dinastia circense. Così il futuro senatore decise di diventare un domatore. In memoria di papà. Così, dopo Darix, suo figlio Livio ha sfidato le tigri per vent'anni. Dodicimila volte è entrato nella gabbia con i frustini di plastica o con i bastoni per fare quella che lui definisce “una semplice sfida psicologica con gli animali”. La prima volta ha avuto tanta, tanta paura. Come ne ha avuta venerdì 30 maggio 2001, quando è entrato in giacca e cravatta nell'arena di Palazzo Madama. Ha stretto la mano al senatore a vita Gianni Agnelli che, curioso, gli ha chiesto: “E che rapporto ha con le tigri?”. Lui gli ha spiegato quanto segue: “La prima volta è stato terrificante. Pensavo di non farcela ad affrontarle. Poi ho capito che il punto non è dominare le tigri, ma sorprenderle e costringerle a una reazione. Ho capito che non dovevo aggredirle, ma creare un rapporto di fiducia. Finché loro mi hanno riconosciuto come capo branco. Così è nella vita, così è nella gabbia”.
E così sarà forse anche in Parlamento. Sorride. Il senatore è entrato nella gabbia dodicimila volte, ma solo una volta ha urlato. Un urlo che ha riecheggiato per tutto il circo. È stato quando, quasi sdraiato su un'asse, provava il numero con un leone che stava sopra di lui e improvvisamente una tigre gli ha afferrato le gambe da dietro. In quel momento ha capito cosa vuol dire sentirsi braccato, senza via di fuga. “Il mestiere del domatore è una sfida con se stessi in cui ci si gioca la vita”, dice. Ma non ha smesso finché non è morta Rani, una tigre del Bengala che Livio Togni adorava per la sua intelligenza. E che lei ricambiava al punto da lasciarsi toccare. “Una volta le ho perfino tolto un osso che le si era infilato nei denti”, ricorda. Dopo la sua morte il futuro senatore decise di smettere i panni del domatore, un po' per sottrarsi alle proteste degli animalisti e un po' per la malinconia della buona e vecchia Rani, la tigre del Bengala. Eppure questo cinquantenne dal sorriso affabile, le maniere sbrigative e l'antica modestia del self-made man, non è stato solo un domatore, ma anche un pioniere, uno che ha cercato e scovato nuove strade per il suo mondo viaggiante.
A vent'anni ha inventato l'architettura moderna del circo, soprannominata “jumbo” per le dimensioni esagerate dei tendoni. Poi ha girato le piazze italiane con un pupazzo gigante, Il King Kong utilizzato da De Laurentiis nell'omonimo film. Ha dato vita a una nuova generazione di acrobati, gli stunt-men. Infine ha seguito la sua intuizione e ha creato il circo Florilegio. Evocando le atmosfere dei film felliniani, con carovane di legno fatte a mano, palchi costruiti sul modello del teatro dell'Opera, velluti, broccati. E soprattutto creando personaggi grotteschi. Come l'uomo più forte del mondo che spezza le catene. Il finto Pavarotti che rutta. O Colombina che viene fatta girare come se fosse una trottola, con una corda legata alla caviglia. E poi ippopotami, bisonti, pitoni, cammelli, giraffe, rinoceronti. E suo fratello Corrado, il clown triste, che non indossa nessuna parrucca né il grosso naso di plastica, ma fa ridere e piangere come Chaplin nei film muti. Come se non bastasse, il senatore ha anche fatto il militare a Cuneo, come diceva Totò. Non è uno scherzo, Livio Togni ha fatto proprio il militare a Cuneo e oggi racconta orgoglioso, in versione Spartaco, del suo contributo dato alla lotta contro il nonnismo. “L'ho sradicato”, dice orgoglioso. Come? “Facendo a pugni. Quando sono entrato negli alpini i soldati di leva si suicidavano per la disperazione. Quando sono partito tutti venivano trattati con rispetto”.
Bisogna fare uno sforzo di immaginazione per vederlo seduto negli scranni del Senato, mentre cerca di cogliere le sfumature del palazzo e si batte per i contadini dell'Emilia o cerca di far passare una legge che aiuti gli artisti del circo ad avere sussidi dallo Stato. Ma prima di farlo bisogna sapere che ha percorso forse centomila chilometri, alla guida delle carovane del circo. Arrivando nei villaggi più remoti della Turchia o della Grecia. Facendo ridere i bambini, certamente, ma non solo loro. Nel suo album dei ricordi c'è Bono degli U2, che ha assistito al suo spettacolo a Dublino. C'è il principe Ranieri, gran patron degli artisti circensi a Monaco, ci sono Jacques Chirac a Parigi e la regina Paola a Bruxelles. Imparerà sicuramente il politichese, nell'arena di Roma. Ma prima bisognerebbe sapere che Mamà, mamma Fiorenza, è la discendente di una dinastia di clown, i Fratellini. È nata nel '23, in una roulotte della Russia post rivoluzionaria e ha studiato lirica a Bruxelles per diventare soprano. La prima volta che è scesa in pista aveva solo due anni. Quando ha ne ha compiuti quaranta, ha chiesto a suo figlio di comprarle una casa per fermarsi. La scelse a Rio Saliceto. Ma oggi che di anni ne ha settantasette continua ad andare in tournée e a concludere gli spettacoli, cantando “Torna a Surriento” o “Core ingrato”. E alla fine prepara in mezzo alla pista una lunga tavolata per gli spaghetti da offrire agli artisti e al pubblico.
Non sono sempre state rose e fiori per la dinastia Togni. C'è stato il fascismo, quando il circo fu nazionalizzato dal Duce, e nonno Ercole lavorava in segreto per i partigiani. Usava la mobilità del circo per salvare ebrei, comunisti e antifascisti. Sì, perché nella storia dei Togni c'è stato anche un Oskar Schindler, che ha usato le maschere e i trucchi per salvare gli ebrei dalla deportazione. Quanti non si sa, perché la verità integrale della storia è stata tramandata per via orale, come una volta, dal nonno Ercole a papà Darix, che però si è portato il suo segreto nella tomba. Ma la storia è andata a finire così: il circo Togni si trovava a Salò, il 25 aprile del 1945 e, quando iniziò l'insurrezione, pagliacci e acrobati uscirono dalla favola con delle armi in mano per liberare un pezzetto d'Italia: un albergo.
Poi c'è stata la grande crisi del 1981, quando l'ex domatore accettò un ingaggio a Tel Aviv. Si recò con tutta la compagnia in Israele, per poi scoprire che si trattava di una truffa. Finì che gli sequestrarono il circo. Così Livio Togni dovette tornarsene a casa a mani vuote dalla Terra Promessa, per ricominciare tutto da zero. E visto che doveva ripartire da capo, pensò che fosse il momento di cambiare registro e di fondare un nuovo circo: il Florilegio. “Insomma senatore, il circo cos'è? Non ce lo ha ancora spiegato bene”. “È un mondo di dinosauri, fuori dal tempo”, risponde un po' spazientito. “Dove si vive per sognare e si sogna per vivere. Un mondo dove, a forza di usare maschere, alla fine non ci si nasconde mai”.
Ora il senatore della Repubblica italiana Livio Togni si prepara alla stagione politica, eletto in Emilia Romagna nelle liste di Rifondazione comunista, “ma come indipendente”, ci tiene a sottolineare, perché lui ha due miti, e non sono poi propriamente comunisti: uno è Indro Montanelli, l'altro è l'Avvocato. Montanelli perché è un uomo che ha saputo sottrarsi alla logica del branco. Gianni Agnelli perché come lui, dice, da un secolo porta avanti la tradizione di famiglia. “In Parlamento farò quello che faccio come capo di una grande famiglia e di un'azienda: usare il buon senso”, spiega. “Ma attenzione: sono un idealista, non un ingenuo. Mio padre era di sinistra, mio nonno un partigiano”. La sua elezione al Senato della Repubblica ha strappato più di un sorriso alle belve smaliziate dell'arena politica. Ma alla domanda di rito del circo equestre giornalistico, “scusi senatore, ma dal circo degli animali al circo della politica il passaggio è breve?”, lui risponde pronto: “Il circo è una cosa seria”.
In breve
È nato a Milano il 28 settembre 1950. Figlio del domatore Darix Togni, patriarca della celebre dinastia circense, ha iniziato a girare il mondo e a esibirsi in pista a sette anni. Il padre lo indirizza alla carriera di organizzatore dell'azienda di famiglia, ma a 25 anni anche Livio sceglie la strada del domatore. È entrato dodicimila volte nella gabbia. Ha poi fondato il circo Florilegio, ispirato alle compagnie circensi d'antan. Il 13 maggio è stato eletto senatore indipendente in Emilia Romagna, nelle liste di Rifondazione comunista.
Cristina Giudici giornalista freelance, è nata a Milano. Scrive di attualità per varie testate, tra cui Anna e il Foglio.
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