Diego Armando Maradona

Beppe Di Corrado

Maradona insulta per sentirsi vivo: “Oggi mi hanno consacrato come allenatore”. E' la paura di essere inferiore, l'idea di non farcela, il terrore di non avere tutti ai suoi piedi. Diego manda al diavolo il mondo per liberarsi dal peso del rischio fallimento. Al Mondiale, come era previsto e come però poteva non essere. In Sudafrica, per la prima volta in panchina a una Coppa del mondo, per la prima volta diverso dopo la cocaina, dopo la distruzione,

    Maradona insulta per sentirsi vivo: “Oggi mi hanno consacrato come allenatore”. E' la paura di essere inferiore, l'idea di non farcela, il terrore di non avere tutti ai suoi piedi. Diego manda al diavolo il mondo per liberarsi dal peso del rischio fallimento. Al Mondiale, come era previsto e come però poteva non essere. In Sudafrica, per la prima volta in panchina a una Coppa del mondo, per la prima volta diverso dopo la cocaina, dopo la distruzione, dopo il recupero. Ci vuole sempre un nemico nella vita di Diego. Era Ferlaino, era il mondo, era Blatter, era Pelé, erano gli inglesi. Ora c'è quel gruppo di giornalisti e critici che l'hanno massacrato a mezzo stampa: inadeguato, volgare, incapace, sbagliato, raccomandato, gli hanno detto. Lui ha vinto e s'è sfogato: il pianto fa parte del repertorio melodrammatico. Visto a Città del Messico nel 1986 con la coppa in mano, visto a Roma nel 1990 con la Coppa in mano agli altri e con una medaglia d'argento al collo, visto nelle conferenze stampa post disintossicazione, visto in diretta tv con la Carrà, visto ovunque.

    Le lacrime scendono come la pioggia che l'ha salvato l'altra sera contro il Perù. Si bagna il volto, Maradona. Se lo bagna come ha sempre fatto nella vita: cerca comprensione anche adesso, perché sa che questa qualificazione arrivata all'ultimo secondo lo salva dall'ingiuria pubblica, ma non dal sospetto che non sia fatto per stare in panchina.“Siamo dentro, a quel paese i giornalisti. Ringrazio tutti i tifosi argentini e dedico questa vittoria a chi ha sempre remato contro e criticato gratuitamente. La squadra ha vinto e si è qualificata senza l'aiuto di nessuno. Adesso è il momento di godersi questo momento, ma io non dimentico chi mi ha voluto male, e a loro dico che possono continuare a succhiare”.
    Succhiare, ha detto Diego. E' la frustrazione, nient'altro. Volgare? Offensivo? Eccessivo? E' tutto, ma è soprattutto frustrato. E' l'angoscia di non sentirsi Maradona. L'accompagna da quando è tornato lucido, da quando non vacilla più come faceva prima in attesa della morte. Questo è il Maradona umano: che sbaglia, perché di calcio visto come allenatore non ne sa nulla. Il Maradona che non convoca per antipatia i calciatori, che fa la formazione mettendo dentro chi neanche gioca nel suo club.

    Perché lui è Maradona e quindi non sbaglia.
    Invece sa di sbagliare ed è per questo che alza la voce. Il Sudafrica racconterà che cos'è diventato questo uomo che era un simbolo e si sta sforzando per uscire dal personaggio che era da calciatore. Non può farcela, o forse sì. Ci prova sfogandosi come un torero che ha appena finito la corrida nella quale il toro stava per massacrarlo.
    L'insulto è la reazione umana e scontata di uno che ha vissuto tutta la vita senza avere una vera critica tecnica, sportiva, pallonara. Gli dicevano sempre quella frase inutile: “E' un pazzo fuori dal campo e un genio dentro”. Poi c'era quell'altra: “Se gioca come sa fare, gli si può perdonare tutto”. L'altra ancora: “Un calciatore non si giudica per le cose che fa nella sua vita privata”. Diego calciatore è stato perfetto, tanto da non avere anche un solo rimprovero. Non sapeva che cosa significasse sentirsi dire: “Hai sbagliato”. Ha preso le critiche come un fatto personale: forse lo erano, forse no. Di sicuro lui non può accettare. Lui è Maradona, non uno qualunque.

    Il problema è che dovrebbe valere anche per gli altri
    : perché se sei Diego, allora devi esserlo anche in panchina, quindi niente errori, ma solo magie, niente sbagli, solo cose eccezionali. Maradona ha capito che in campo alla fine è più facile. Ha scoperto che comandare da fuori è un casino. Ha realizzato che a un certo punto cade tutto sull'allenatore. Che s'aspettava, il silenzio? Lo sapeva, lo voleva. Allenatore lui. Dai. Le polemiche sono parte dello show, accompagnano il personaggio e il suo mondo, qualunque sia e qualunque sia stato. Poi è stato lui a cominciare, come sempre: “Quanto mi piacerebbe rubare il posto a Carlos Bianchi. Sarebbe come battere con un Ko Tyson, Foreman o Monzon”.

    Uno che non ha mai vissuto da anonimo non può chiedere agli altri di non ossessionarlo. Non lo vuole, comunque: è tutta scena, tutta coreografia di uno spettacolo che ha lui come protagonista anche quando non l'ha chiesto. Stavolta sì: s'è preso la panchina dell'Argentina e adesso si prende i se, i ma, i forse. Fanno parte del gioco: prendi sta palla, Diego, e comincia a palleggiare. Bisognava aspettarlo, perché Maradona non finisce mai. Questo è un capitolo, un altro. Prevede nemici, appunto. Verso il Sudafrica arriveranno gli altri, perché ci saranno le convocazioni e qualcuno si chiederà perché non sceglie Cambiasso, perché non punta tutto su Messi, perché non convoca i migliori. L'Argentina esulta, però Maradona sa che c'è qualcosa che non funziona. Il genio gli serve a capire prima degli altri che stavolta non sono i giornalisti il suo problema. E' la gente. La sua. Appena firmato il contratto con la Federcalcio argentina Clarin chiese al pubblico se fosse giusto dare la panchina della Nazionale a Dieguito: 50 mila no, il 73 per cento dei voti. E' uno stadio intero. Per Maradona sarà quello del River, da sempre pieno di gente che lo detesta. Cerca un pretesto e combatti. Però sa che dentro c'è gente del Boca, dell'Independiente, del Newell's, gente che lo amava e che non si fida. E' così, Diego.

    Adesso può esaltarsi o deprimersi, affari suoi:
    se ti rimetti in gioco accetti di uscire dalla protezione collettiva, dal rispetto infinito verso uno che stava per andarsene, dall'adorazione di un vincente che ha rischiato di perdere tutto. Il Diego drogato, quello malato, quello in clinica avevano compattato il mondo nella pietà, nella preghiera isterica degli orfani. I sit-in fuori dall'ospedale, i santini, le tv di tutto il mondo a fare stand-up di fronte all'ingresso del reparto: “Ecco l'ultimo bollettino medico sulle condizioni del Pibe de Oro”.
    Da allenatore non è più un resuscitato: è vero, toccabile, insultabile. E' l'oleogramma che torna umano per l'ennesima volta. E toccarlo significa poterlo anche contestare. Perché non ci sono soltanto quelli del River, ovviamente. C'è un mondo che non ha accettato anche l'uscita dopo la partita di giovedì notte che l'ha portato alla qualificazione per il Mondiale: un altro sondaggio ha chiaramente detto che la gente argentina vuole che la Federazione lo multi per la reazione contro tutto e tutti.

    Se ne frega Diego. Altrimenti non sarebbe lui.
    Se lo tiene dentro immaginando che ci sia una regia esterna alle provocazioni contro di lui. E' un complottista, ovviamente. Fa parte del pacchetto. Così come i ritorni, clamorosi, straordinari, magici. Quanti ne ha avuti Diego? Non si contano più, non ci è riuscita neanche l'ex moglie Claudia, che a un certo punto se ne è andata. Questo è l'ultimo, per quelli che adorano la retorica è anche il più bello: Maradona in campo, anzi in panchina, comunque dentro, protagonista, sano, un po' ingrassato, però al lavoro. Incazzato, anche. Questa è la maradoneide: felice al pensiero che l'uomo sbagliato non ci sia più, cancellato da questo signore aggressivo, ossessionato, ma comunque lucido. Perché non è certo quello che scappò da Napoli questo Maradona. E' matto, non depresso. E' agitato, non malato. E' la risposta a quelli che non vedevano l'ora di raccontare l'ultimo capitolo triste della sua vita, magari con potenziale tuffo in una nuova dose di coca. Perché il problema di Diego è sempre lo stesso, da una vita. E' il circo che lo attornia, il maradonismo imperante e infinito, quel mondo che adora le sue debolezze e le sfrutta per farci un film, un documentario, una collana letteraria. Il ragazzo del popolo che fa sognare il suo mondo, ma non riesce a essere felice. Diego personaggio che sovrasta Diego calciatore è stato un insulto incancellabile. Chi ha avuto pietà delle sue follie non s'è reso conto di aver ridotto a persona normale, uno che normale non era. Adesso sì. A 48 anni si può, forse si deve. Normale, ma eroe, perché sennò non sarebbe Diego. Eroe negativo, magari. Però eroe. Ci dev'essere sempre un pretesto, ci dev'essere sempre un contesto. Ora c'è: l'Argentina pallonara che barcolla, arranca, si piega.

    Sconfitte, sconfitte, sconfitte, la qualificazione all'ultimo secondo dell'ultimo minuto. Diego è il Salvatore che stava per sprofondare. I nemici non sono gli inglesi delle Malvinas, non sono gli italiani che fischiano l'inno argentino nella finale di Italia '90. I nemici sono ex amici: i giornalisti che l'hanno sempre compatito e la gente. E' incerta, nonostante la qualificazione. E' dubbiosa. E' scettica.
    Diego sarà sempre Diego, ma l'allenatore è un'altra cosa: non servono numeri, non servono i piedi, non serve la testa, non serve vedere dove gli altri non vedono. La panchina è un casino, dove non sempre vincono i più bravi. Non è passato molto tempo da quando gli chiesero quante chance avesse di fare l'allenatore della Nazionale. “Zero direi. Non diventerò mai commissario tecnico, perché non so se chiamarmi conviene ai dirigenti”. Allora Diego allenatore è una scommessa alla quale forse non credeva neanche lui. Perché tutti sanno dei precedenti. Maradona ha allenato la prima volta nel 1994, subito dopo il Mondiale degli Stati Uniti: prese il Mandiyú, fece 12 partite e 3 punti.  Poi il Racing di Avellaneda: 11 partite 3 sconfitte, 6 pareggi e 2 vittorie. Due appena e una di queste forse neanche voluta: alla Bombonera contro il suo Boca. Il Racing non lo batteva in trasferta da vent'anni, ci voleva Diego per farlo.

    Non c'è altro, non ci sono avventure successive, prove con altre squadre, in altri paesi. C'è stata soltanto quella mezza frase del 1996, poi dimenticata: “Tornerò in Italia e lo farò per allenare il Napoli”. Ha cominciato dall'Argentina, invece. Ha cominciato polemico: “La formazione la faccio io”, disse appena nominato commissario tecnico. Fece sapere che avrebbe fatto fuori Zanetti, Cambiasso e Abbondanzieri. Non aveva detto che avrebbe avuto problemi con Aguero, che è pure suo genero, e soprattutto con Lionel Messi. Disse anche questo: “La Nazionale ha bisogno di un uomo che faccia ridere e non piangere, di uno che renda felici e non tristi”. Anche lui aveva bisogno delle stesse cose. Ha trovato i guai e pochi sorrisi, ha dato molte ansie e poche soddisfazioni. Otto mesi per sapere che succederà. Il Sudafrica avrà un Mondiale non normale. Con Maradona è sempre stato così. Adesso che è allenatore vale di più: se non ti illudi, Maradona è ancora il massimo della vita, è sempre quell'immagine del pallone attaccato al piede, è lo spot del calcio, il più bello che si possa avere. Non puoi fare altro che sperare con lui. Siamo spettatori di uno show che tanto va in onda lo stesso. Tanto vale sedersi in poltrona a guardare.