Giuseppe Scopellitti

Marianna Rizzini

L'anziano professionista di Reggio Calabria risponde al telefono, chiede qualche minuto per ritirarsi nello studio e ascolta il cronista chiedergli se ha voglia di parlare di Giuseppe Scopelliti, il sindaco quarantenne che ha un passato nel Fronte della gioventù, una carriera politica precocissima, un primo mandato alle spalle, un secondo in corso d'opera, una nomea di uomo del sud che dialoga con la Lega e una fama di “habitué del medagliere”.

    dal Foglio del 12 settembre 2009

    L'anziano professionista di Reggio Calabria risponde al telefono, chiede qualche minuto per ritirarsi nello studio e ascolta il cronista chiedergli se ha voglia di parlare di Giuseppe Scopelliti, il sindaco quarantenne che ha un passato nel Fronte della gioventù, una carriera politica precocissima, un primo mandato alle spalle, un secondo in corso d'opera, una nomea di uomo del sud che dialoga con la Lega e una fama di “habitué del medagliere”, come l'ha definito il Sole 24 Ore all'ennesimo inserimento di Scopelliti nella top ten dei sindaci più amati. L'anziano professionista reggino si schiarisce la voce, aspetta che il cronista finisca di ricapitolare la notizia che motiva la conversazione – Silvio Berlusconi ha “nominato” Scopelliti candidato presidente in Calabria per le regionali del 2010 – e infine dice: “Eh beh, certo, si capisce che Berlusconi lo candidi. La gente vota Scopelliti perché si vede che è uno che non vive a tre metri dal piano di calpestio”. Dev'essere un complimento, e infatti lo è.

    L'anziano professionista passa a elencare i pregi del primo cittadino: “Non finge di essere un intellettuale, non rifugge dal contatto con la gente, fa – cosa più cosa meno – quello che dice: e non parlo solo del tapis roulant”. Il tapis roulant, una delle opere che più danno lustro al sindaco, è un “avveniristico manufatto”, per dirla con le parole che piacciono al comune di Reggio e spiacciono ai blogger reggini (ce ne sono due agguerriti contro il linguaggio altisonante con cui, dicono, vengono presentate le opere pubbliche cittadine, ma l'anziano professionista reggino dice di essere rimasto “estasiato dal nuovo volto della città” durante la consueta passeggiata verso il suo studio: “Sculture tirate fuori dai magazzini, gente che esce la sera, metropolitana fino al mare – e pensare che veniva dimenticato per dieci mesi l'anno”). Il sindaco, però, non parla del tapis roulant. Parla dei suoi progetti da probabile candidato presidente: “Governare le emergenze sul territorio – sanità, ambiente, occupazione – dare segnali molto forti e immediati, far registrare subito l'inversione di tendenza rispetto alla gestione di Agazio Loiero, il peggiore dei governatori nella storia della regione”. Poi Scopelliti passa al secondo “livello di intervento”: “Puntare su politiche lungimiranti. A Reggio, all'inizio, i cittadini erano scettici su alcune mie scelte. Ora mi dicono: ‘Non ci permettiamo più di dire che non siamo d'accordo, perché dopo tre mesi tanto lei ci convince'. Io all'epoca cercavo di fare del mio meglio, sapendo di venire dopo Italo Falcomatà, sindaco di sinistra amatissimo e morto in circostanze drammatiche”.

    Un veterano della politica locale dice che Scopelliti “restò intelligentemente nel solco di Falcomatà, e fu questa la chiave del suo successo”. Scopelliti racconta i suoi primi mesi da sindaco come mesi di studio matto e disperatissimo per “elaborare una serie di progetti all'altezza delle aspettative dei cittadini”. Furono anche mesi di “rottura della tipica meridionale usanza della passeggiata sul corso”. Usanza voleva dire: vieni eletto sindaco, vai sul corso, tutti ti salutano, uno ti stringe la mano, un altro ti abbraccia, un altro ancora ti dice “amico, compare”. “Io invece mi sono chiuso in ufficio per un anno e mezzo”, dice Scopelliti: “Non volevo perpetuare il vizio che ci ha portati, al sud, ad accontentarci di una stretta di mano e poi del niente. Ho studiato, appunto. Poi sono sceso per strada e ho detto: ecco, questo è ciò che avevamo promesso”.

    La critica contro i cantieri aperti per la costruzione della seconda parte del tapis roulant – che prevede un ascensore capace di andare in orizzontale e in verticale – è uno dei pallini della Soprintendenza (questione di scavi a mano e scale storiche) e una causa delle cause di deficit secondo il Quotidiano della Calabria. E però lo scintillante “manufatto modernissimo”, che collega la via marina ai quartieri collinari di una città ricostruita a scacchiera dopo due terremoti, ha fatto felici molti cittadini – specie anziani, assicura una ammiratrice del sindaco. E certo fa il suo effetto vedere Scopelliti – un ragazzone con la giacca sui jeans e il taglio di capelli semi-impomatato da poliziotto buono dei film americani – incedere sicuro accanto all'elegantissima moglie Barbara, alla testa di una folla festante di cittadini, tutti intenti a provare con i propri piedi l'effettivo slancio del tappeto rotante. Almeno questa è la visione che si offre agli utenti del sito ufficiale del sindaco, miniera di immagini al limite dell'epica. C'è il sindaco con Santo Versace. Il sindaco con Carlo Verdone. Il sindaco con Riccardo Muti. Il sindaco con i “mitici Duran Duran” (così c'è scritto – “mitici” – e si capisce perché: il sindaco è del 1966, probabile che da ragazzino impazzisse per i cinque di “Wild boys”). Quella con i Duran è la foto migliore: si vede Scopelliti raggiante in mezzo a Simon Le Bon un po' appannato e a John Taylor baldanzoso. A confronto, nulla possono le foto che ritraggono uno Scopelliti commosso che riconsegna ai cittadini un bene confiscato e uno Scopelliti serissimo che presenzia alla festa della Madonna della Consolazione, con dietro una sfilza di porporati. Ci sono poi le foto in cui il sindaco appare accanto a Gianfranco Fini, il deus ex machina che lanciò nella politica nazionale il giovane Scopelliti, uno che già a nove anni seguiva i fratelli ai comizi di Almirante, di nascosto dai genitori preoccupati, perché voleva vedere dal vivo l'uomo che tanto l'aveva colpito nei dibattiti in tv. “Vedevo la mia città e la trovavo decandente. C'era un malcostume diffuso. Quella fu la molla, da ragazzino, per avvicinarmi alla politica attiva. Mi iscrissi al Fronte della gioventù e cominciai a occuparmi di manifestazioni studentesche”, racconta Scopelliti, il cui ricordo va però soprattutto ai giorni del 1993, quando, a Rieti, venne nominato segretario nazionale del Fronte, in un momento diplomaticamente difficile per i dissidi interni all'Msi (tra fazioni di ascendenza rautiana e fazioni di ascendenza post almirantiana).

    A Reggio Calabria, lì per lì, i notabili rimasero basiti quando Fini si mise in testa di piazzare alla testa del Fronte della gioventù quel ragazzo che a loro pareva assai inesperto, quello Scopelliti che aveva fatto politica studentesca, sì, ed era stato segretario provinciale e poi consigliere comunale, ma chissà a buttarlo nella mischia se e come reggeva. Alla fine pensarono: tanto meglio, è giovane, sarà più facile governarlo. Scopelliti pensò tutt'altro: venendo dalla pallacanestro, a cui si era dedicato per quindici anni, la politica gli pareva tutto tranne che un'attività in cui l'arbitro potesse fischiare il fallo: “In politica i colpi bassi sono all'ordine del giorno, e nessuno richiama alla correttezza”. Due anni dopo, sotto gli occhi esterrefatti dei detrattori della prima ora, Scopelliti fu eletto consigliere regionale “con una barca di voti”, come racconta un testimone dell'epoca. Erano tempi di malumore contro i partiti, e l'Msi in Calabria andava forte. Scopelliti ormai era lanciato. Divenne presidente del Consiglio regionale, si mise in luce, fu rieletto, approdò alla carica di assessore al Lavoro e alla formazione.

    Ora il sindaco ricorda quei giorni come “esaltanti”: “Era come se stessi per mettere in moto una macchina nuova. Stavo per far partire i fondi comunitari già impegnati, avevo una bella squadra, avevo messo in campo un piano di comunicazione. Mi dicevo: qui vado alla grande”. La macchina non partì perché lo chiamò Maurizio Gasparri: “Giusé, sindaco, devi fare il sindaco! Anche in Giappone ti conosceranno, con la storia del Ponte sullo Stretto”. Scopelliti prima disse “no”, poi “sì”. “Mi ha fregato l'amore per la città”, dice oggi. E insomma la frase buttata lì dal premier, il 9 settembre, alla festa dei giovani del Pdl – “ho due candidati sicuri e per i quali faccio il tifo: Giuseppe Scopelliti e Roberto Formigoni” – ai conoscitori della politica reggina appare inelluttabile come l'alba del nuovo giorno, sebbene foriera di futuri aspri combattimenti in provincia di Cosenza e Catanzaro. Vuoi per campanilismo (“non è che che un calabrese di Catanzaro voti a cuor leggero un calabrese di Reggio”, dice un notabile di città) vuoi per necessità di creare prima una coalizione vincente (“bisogna lavorarsi bene i vecchi socialisti e i vecchi democristiani”, dice un illustre cittadino), l'avvenire politico di Scopelliti appare stimolante, sì, ma non privo di fatiche. Un altro cittadino mette in guardia contro “l'abilità di quelli”, ove “quelli” sarebbero gli avversari di centrosinistra “che sono capaci sempre di mettere in lista lo scrittore antimafia, l'ex ministro benvoluto, il professore stimatissimo”. Scopelliti, interpellato sul tema, sebbene orgoglioso della “fiducia” in lui riposta “dal presidente Berlusconi”, si dice “un po' scettico su questa candidatura, perché, se si vuole correre, bisogna trovare uomini che la pensino come me su un punto: o si cambia la Calabria o niente. Io le sfide le voglio vincere. Voglio sapere chi è pronto a rinunciare ai privilegi che la politica regionale ha sempre offerto. Non voglio dover assicurare a un assessore la rielezione dopo cinque anni. Mi ci metto se si lavora per far uscire la Calabria dalla palude”.

    Non fosse il sindaco di centrodestra di Reggio Calabria, Scopelliti parrebbe vagamente veltroniano quando dice: “Un po' alla volta abbiamo dimostrato che la politica può cambiare i destini di una comunità, in positivo e in negativo. E' importante che sia la politica a farlo, ma nel meridione non sempre è accaduto. Abbiamo dato un impulso importante, investito tanto in cultura,  e oggi l'ottanta per cento dei giovani è con noi”. Ci sono “molti fatti concreti che testimoniano la nostra crescita”, dice il sindaco. Poi c'è “il riconoscimento di Reggio Calabria come città metropolitana”. A giudicare dalla sollecitudine con cui Scopelliti nega che lo status di citta metropolitana sia “un regalo della Lega” dovuto ai buoni rapporti Scopelliti-Calderoli – a Reggio Calabria ebbe luogo una manifestazione a favore del federalismo fiscale (che Scopelliti caldeggia) – il sindaco deve aver letto l'articolo del Corriere della Sera in cui Gian Antonio Stella si chiedeva perché Reggio fosse diventata area metropolitana e altre città no (città a suo avviso più meritevoli dal punto di vista demografico e topografico). Scopelliti racconta invece di aver “ringraziato Bossi e Calderoli per l'opportunità data a Reggio Calabria. E' vero che lo status potevano darlo anche ad altre città, ma il riconoscimento nasce in prospettiva, in vista di un'area metropolitana dello Stretto: Reggio e Messina. Se sommiamo la popolazione urbana, quella dell'hinterland e quella della provincia arriviamo a più di un milione di abitanti”. Il sindaco non si vergogna di desiderare le famose infrastrutture, Ponte sullo Stretto in testa, seguito “dall'alta velocità oltre Salerno” e “da una scossa ai lavori sull'autostrada”: “Bisogna liberare le carreggiate e trasferire altrove i cantieri, cercando un altro tracciato”. In un impeto di orgoglio neosudista – “altro che partito del sud, noi dobbiamo essere una classe dirigente che non si lamenta, progetta qualcosa di nuovo e chiede le cose giuste” – Scopelliti indulge in quello che appare il suo vezzo verbale, l'abbinamento per assonanza di due aggettivi. Per il sindaco i calabresi devono essere infatti “positivi e propositivi, efficaci ed efficienti”. E dev'essere un vezzo di città, ché “abile e affabile” appare Scopelliti all'anziano cittadino a cui, in principio, telefonò il cronista.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.