“Triumphs and Laments”

Natale di Roma

Giuseppe Fantasia

E al concerto, l’autrice tv sussurrò all’amica contessa: “Ecco Luca Bergamo. Il ‘vero’ sindaco”

Un doppio compleanno per un’unica serata: i 2770 anni di Roma e il primo anno di “Triumphs and Laments”, l’imponente opera sui muraglioni del Tevere realizzata da William Kentridge per (cercare di) dare un tocco contemporaneo all’arte di questa città. A pochi giorni dall’eliminazione delle inutili e antiestetiche scritte lasciate lì da writers imbecilli, quelle ottanta figure presenti tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini (oggi, “Piazza Tevere”), sono tornate a brillare per rendere omaggio all’artista sudafricano. L’atmosfera, visto il sole alto, ricorda quella di un déjeuner ma senza l’herbe: con l’immancabile Panama bianco, una giacca strappata al lato destro e senza cellulare (“l’ho perso, qualcuno mi aiuti a trovarlo”, dirà), Kentridge arriva scortato dal sovrintendente del Teatro dell’Opera, Carlo Fuortes, e da Luca Zevi, presidente di TevereEterno, la onlus che ha promosso il progetto e la serata-concerto.

 

A sorpresa, in questo “pic-nic de’ noantri”, tra la gigantografia di Remo ucciso da Romolo e quella di Mastroianni che bacia la Ekberg poco distanti da Pasolini, spunta anche la sindaca Raggi con prole, portando, purtroppo, solo un cesto (di vimini) di frasi fatte: “Questa è la nostra casa, dobbiamo coccolarla e volerle bene, renderla più bella ed accogliente”. Al discorso ci pensa Luca Bergamo, “il vero sindaco”, come lo dipinge la potente autrice tv all’amica contessa, ben mimetizzate tra la folla, dove spicca, invece, la giacca lilla di Angelo Bucarelli, “l’artista della comunicazione” (come si definisce su Instagram) e l’eleganza innata della coreografa Linda Foster, grande sostenitrice del progetto.

 

Al via la musica con la Cantata dal secondo atto della Tosca seguita dal Te Deum. Gran finale con i Carmina Burana che con il loro concetto dell’effimero sono perfetti per il progetto di Kentridge – che durerà poco meno di dieci anni – e per questa città che, come scriveva Henry James, “ha un tempo che si disintegra”.

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