La notte del Partito democratico
Il partito che fu di Veltroni e del “modello Roma” va a congresso, ma tira aria di sbaraccamento
C’è all’orizzonte un congresso locale del Pd con quattro candidati in teoria “renziani”, ma non allo stesso modo (c’è chi renziano non lo è più, chi lo è ma guardando a Paolo Gentiloni, chi lo è ma fino a quando non si sa). E c’è una città in cui il maggior partito d’opposizione si ritrova appeso alla prospettiva di un’altra frana di credibilità (dopo Mafia Capitale, dopo la fine brusca della sindacatura Marino, dopo il commissariamento). E pensare che un tempo si parlava di “modello Roma”: erano i primi anni Duemila, il Pd non esisteva ancora ma il suo futuro padre, Walter Veltroni, dava al suo primo mandato da sindaco la coloritura di battaglia per una “città più unita, più solidale, più allegra”.
Erano anni di governo nazionale di centrodestra, e il partito di centrosinistra che ancora non si chiamava Pd, a Roma, restava sullo sfondo: le correnti c’erano come dappertutto, ma la corrente faceva per così dire meno notizia del modello Roma stesso (magari criticato per la fede incrollabile negli auditorium, ma rispettato nell’impostazione di base). E anche se poi, con la nascita del Pd, a Roma come ovunque, i due corpi partitici di Ds e Margherita stentavano a fondersi, fermo restava il concetto di non far tracimare le beghe interne oltre il limite del discapito percepito per la città. E però le beghe, rimaste sottotraccia durante la sindacatura Alemanno, scoppiavano al momento di scegliere il candidato sindaco successivo: ed ecco allora l’ubriacatura di società civile e la scelta, non molto condivisa, di puntare su Ignazio Marino. E Marino il “marziano” era stato eletto, ma la fronda anti-Marino era fiorita. Poi, con Mafia Capitale, il ruzzolone: via il marziano, mandato al “commissario” Matteo Orfini. Ma la riscossa, nel giugno 2016, non era arrivata (Roberto Giachetti non era stato eletto). Rimbocchiamoci le maniche, si era detto allora un anno fa. Eppure oggi la situazione è questa: la candidata unitaria fino a ieri (Valeria Baglio) è diventata candidata in solitaria “nonostante” il partito (e con contorno di polemiche sul presunto niet alla sua candidatura da parte del capogruppo pd in consiglio comunale Michela Di Biase, anche consorte del ministro Dario Franceschini).
E il partito, che a un certo punto aveva anche pensato al ministro Marianna Madia, è ora unanimemente schierato sul giovane Andrea Casu (ma con gentiloniani, franceschiniani, zingarettiani e orfiniani tutti diversamente unanimi). Ci sono anche le candidature di Andrea Santoro e dell’outsider Livio Ricciardelli. E c’è l’iniziativa “apartitica” e “orizzontale” dell’associazione “Roma! Puoi dirlo forte” di Tobia Zevi (oggi in piazza con la manifestazione “Roma! Città aperta”, con oratori illustri e non a discutere “al di fuori dei partiti tradizionali”). Il congresso del 25 giugno incombe, e la candidatura unitaria è meno unitaria che mai (resta solo da spegnere la luce).