Via Cristoforo Colombo, metafora di una città costruita a caso
Se la strada nasceva con una sua razionalità chiara, oggi la Colombo è soprattutto una grande rassegna di occasioni mancate dalle giunte precedenti e che difficilmente troveranno una soluzione a breve
Poche strade sono proverbiali e rappresentative dell’identità al contempo di una città e di una nazione come la Cristoforo Colombo. Nel 1928 l’ingegnere milanese Piero Puricelli, già autore nel 1923 della Milano laghi, apriva la via del mare allora considerata autostrada che segnò l’immaginario di Mussolini che decise di costruire l’E42, poi Eur, come porta simbolica e celebrativa della capitale da e verso il mare. Pensato come quartiere monumentale a celebrare la vittoria del regime fascista nella II Guerra mondiale, fu invece completato solo nel dopoguerra snaturandolo del tutto da un lato inzeppandolo di uffici fantozziani e dall’altro di villette con giardino. Pochi edifici, come il palazzo dei congressi di Adalberto Libera, furono utilizzati, specie per congressi politici, mentre molti altri edifici con le colonne venivano talvolta usati come scenari per i film di Cinecittà ambientati nell’antica Roma. Diversamente la Colombo da subito diventa simbolo della ripresa economica, come si vede bene nel film di Vittorio De Sica su soggetto di Cesare Zavattini, Il boom, del 1963 con Alberto Sordi, dove vediamo le 500 e 600 Fiat che corrono verso Ostia con il riferimento visivo ottico del Colosseo quadrato. I tempi cambiano purtroppo, e oggi pur avendo auto molto più potenti occorre rispettare il grottesco limite di velocità dei 30 km all’ora imposto dalla giunta, una delle tante ordinanze demagogiche e a costo zero espressione dell’immobilismo soprattutto mentale che attanaglia la capitale.
Se la strada nasceva con una sua razionalità chiara, oggi la Colombo è soprattutto una grande rassegna di occasioni mancate dalle giunte precedenti e che difficilmente troveranno una soluzione a breve. Secondo Gabriele Mastrigli, docente di progettazione architettonica all’Università di Camerino, tutto nasce nel fervore architettonico delle giunte rutelliane, “negli anni 90 sono state messe in cantiere opere ambiziose mai completate come il grande centro direzionale di piazza dei Navigatori che l’avrebbe messo in comunicazione con l’Appia antica e i suoi monumenti archeologici. Regista dell’operazione mancata era quello stesso architetto e imprenditore edile Bruno Moauro che per un motivo e per un altro non è riuscito a completare la Città dei giovani agli ex mercati generali che avrebbe permesso l’arrivo a Roma di un’opera dallo studio olandese Oma di Rem Koolhaas, già autore della Fondazione Prada a Milano e dal Fondaco dei tedeschi a Venezia. Moauro peraltro durante la giunta Veltroni avrebbe dovuto realizzare un grande albergo su viale Giustiniano Imperatore, rimasto incompiuto anche quello neanche a dirlo”. Mastrigli si riferisce all’ambiziosissimo progetto rutelliano di interrare la Colombo per creare una grande piattaforma pedonale che avrebbe unito direttamente i quartieri di Tor Marancia e Garbatella col parco dell’Appia antica consentendo di aprire nuovi uffici, alberghi e centri commerciali “eliminando così alla radice il problema della velocità elevata sulla Colombo che non è solo pericoloso per via delle radici dei pini che spuntano da sotto il manto dell’asfalto creando dossi, ma che di fatto taglia in due la città inevitabilmente essendo de facto un’autostrada urbana e infatti fino agli anni ‘60 così era chiamata. Interrarla era un modo per risolvere la questione creando un ponte superficiale, e rivitalizzando tutta l’area dove hanno sede alcuni ministeri e anche la sede del Gruppo L’Espresso”.
Gli edifici incompiuti sono dunque scarti, macerie di un piano ambizioso messo da parte e che erano in origine compensazione per le opere pubbliche che le imprese avrebbero dedicare alla città. Un film già visto, come nel caso dello stadio. “A questo scenario si aggiungono due emergenze monumentali – prosegue Mastrigli – come la Nuvola di Fuksas e la torre Eurosky di Franco Purini e Laura Thermes, con il grande centro commerciale Euroma 2 ai suoi piedi, retaggio delle cosiddette nuove centralità previste dal Prg del 2008”. La morale che ne traiamo è la seguente: se progettare ed eseguire erroneamente è male, rinunciare a progettare è persino peggio.