Perché gli incendi a Roma non raggiungono la ribalta nazionale
Tra Collatina e Fontenuova, note sulla Capitale che brucia. I fuochi nel quadrante Est della città sono una specie di continuazione di altri fuochi, quelli accesi con l’evidente intento di smaltire rifiuti
Gli incendi romani non arrivano alla ribalta nazionale come rappresentazione dell’eterno abbandono siciliano, come quelli di Messina, o per l’impatto iconografico da foto che si fa gouache di quelli napoletani/vesuviani. Non c’è Fiorello a twittare e non scatta il senso di rivalsa, il lamento sui forestali che sono troppi nelle inchieste sugli sprechi e diventano pochi in quelle sugli incendi estivi, e poi c’è sempre il governo che ha osato accorpare forestali e carabinieri e perciò, in un’aritmetica misteriosamente ribassista, 1 più 1 non ha fatto 2. A Roma sono incendi e basta, anche perché obiettivamente non arrivano a quei livelli di distruttività, ma subdoli e non troppo visibili vanno avanti da giorni in dimensioni inedita. E anche il governatore del Lazio è arrivato alla fatidica richiesta dello stato di calamità per siccità e rischio incendi, ma in modo quasi burocratico, con lo schema dell’atto dovuto. Mentre piccoli tentativi di interpretare con toni da Fiorello l’abbandono delle periferie serpeggiano sui giornali. Affiora il lamento della società civile, ma poi frena. Non c’è Fiorello, né Pif, a ieneggiare contro i fuochi romani. Perché la controparte non è proprio l’ideale per gli attacchi della società civile. Non ci sono dirigenti regionali sonnacchiosi o arrogantemente distratti a fare da bersaglio delle polemiche, ci sono invece, detti e non detti, gli insediamenti dei Rom.
I fuochi di cui i residenti particolarmente nel quadrante Est della città sono una specie di continuazione di altri fuochi, quelli accesi con l’evidente intento di smaltire rifiuti a margine o direttamente all’interno dei campi. Una specie di fuoco eterno, da Vestali dello smaltimento illecito, che d’estate diventa semplicemente una variante in più del tradizionale fuoco estivo. Sterpaglie non curate, siccità amministrativa, incuria generale concorrono ad aumentarne la pericolosità e diversi episodi di case da sgomberare sono stati segnalati oltre alle giornate intere di finestre chiuse per l’aria irrespirabile imposte a residenti innocenti.
Il bollettino segnala un ultimo episodio di origine dolosa che ha fatto chiudere per 4 ore la via Collatina fino alla rotatoria con via di Salone, da lì poi nel campo nomadi di via di Salone, secondo le sommarie testimonianze di zona, ne hanno approfittato per appiccare una specie di secondo incendio concorrente e dare una bella incenerita a qualche cumulo di rifiuti non ancora sistemato con precedenti interventi. Schema rovesciato, sembrerebbe, e in cui si capisce che i fuochi eterni dei campi non sono sempre e comunque i fornitori della scintilla scatenante, ma anzi ne possono diventare solo i gregari. Il timore insomma è che alla spiegazione fatta circolare rapidamente tra i residenti e da parte dei residenti, in cui tutto parte dagli insediamenti nomadi, se ne deve affiancare un’altra, più centrata sulle responsabilità dell’amministrazione e su situazioni oggettivamente pericolose come quelle dei grandi depositi di automobili da rottamare (il micidiale, terribile, rogo di Pomezia in maggio resta l’episodio più grave degli ultimi mesi e ha mostrato la pericolosità di impianti in cui avvengono sia stoccaggio sia smaltimento con modalità non ammissibili). Su questo fronte sembra scorrere la precisazione fatta circolare preventivamente su Repubblica dall’avvocatura comunale, che, a futura memoria, ha fatto sapere di “incontrare difficoltà nell’assumere la difesa dell’amministrazione qualora dovessero insorgere controversie intentate da cittadini (già annunciate) che lamentino danni alla propria salute derivanti da un lato dagli effetti delle menzionate combustioni e, dall’altro, dall’inerzia mantenuta dagli uffici del Campidoglio”. Insomma gli avvocati del comune non temono di perdere le cause, intentate grillescamente contro un’amministrazione grillina, ma avrebbero proprio difficoltà a costituirsi, ad assumere la difesa del loro, come dire, cliente istituzionale. Una cosa spaventosa, che ovviamente avrà l’effetto di mettere nel panico gli amministratori e di indurli a cercare rapidamente l’applicazione alla situazione degli incendi dello schema del “30 km all’ora sulla Colomb”, il metodo dello scarico di responsabilità attraverso la rinuncia alla funzionalità. Ma il fuoco non si presta e dall’esterno, non solo dall’avvocatura, si percepisce il non saper che pesci pigliare da parte dell’amministrazione capitolina. I municipi più esposti la linea l’hanno scelta: colpa dei campi nomadi e dei rom. E’ l’unica difesa politico/legale di cui dispongono nell’immediato, perché l’altro tentativo, lo scarico su regione e protezione civile, non ha sortito grandi effetti. In più sono municipi, tranne due interni alla città e non particolarmente toccati dalla pericolosità degli incendi, di stretta osservanza 5 stelle (anche se con orientamenti diversi rispetto alla piena fedeltà alla sindaca, come testimoniarono, tra l’altro, casi clamorosi di dimissioni da presidente conquistate meno di un anno prima) e allora hanno gioco a schierarsi, grillescamente, nella contesa con Fratelli d’Italia a chi è più ostile ai rom.
La sortita precauzionale dell’avvocatura diventa però dirompente, con un improvviso frusciare di carte bollate su tutta la vicenda. Ora siamo in piena fase di difficoltà, ma appena sarà passato il momento più acuto si può prevedere una certa frequentazione di tribunali.
Le testimonianze dirette depurate dagli elementi di rabbia e di rivalità locali sono terribilmente convergenti: quest’anno la scala degli incendi è di 10 a 1 rispetto agli anni passati, più per diffusione e superfici che per intensità. Un fenomeno che, appunto evitando la caccia alle streghe, i residenti della zona Est di Roma non riescono a spiegarsi. A Fontenuova, ci riferisce il padrone di una bella villetta con giardino evidentemente ben curato, ogni estate vediamo qualche fuoco, qualche incendio, ma quello che sta succedendo quest’anno tra la Nomentana e le strade che salgono a Tivoli non si era mai visto in passato, con una durata e una ripetitività dei focolai assolutamente inspiegabili. Certamente c’è incuria negli spazi pubblici e forse c’è stato un arretramento verso le zone a coltivazione e dove si concentra l’irrigazione rispetto a quelle non irrigue per cui anche gli spazi privati sono diventati potenzialmente più pericolosi, ma fuochi così frequenti non li avevamo mai visti. E a Torre Gaia, enclave residenziale più ordinata nella massa un po’ indistinta del piccolo abusivismo che oltre al raccordo parte dalla fine della spianata di Tor Vergata, ci fanno gli stessi racconti. Dimensioni delle aree bruciate mai viste prima, spiegazioni non chiare, certamente però qualche responsabilità da dare all’incuria e alla cattiva gestione degli spazi verdi pubblici. Con in aggiunta qualche considerazione preoccupata sulla presenza di impianti artigianali e piccole officine, oltre a depositi con stoccaggio di materiali anche potenzialmente pericolosi.
In Campidoglio funzionari e dirigenti provano a buttare lì la storia dei contrasti nati con la fusione tra forestali e carabinieri, ma non ci credono neanche loro mentre lo dicono. E tornano rapidamente sulla questione dei campi nomadi da smantellare, ma che proprio nel momento in cui si dice che il processo di trasferimento deve cominciare (la Barbuta per primo) improvvisamente diventano polveriere. Ma anche in questo caso un consistente apparato di prove e spiegazioni non riescono a fornirlo. Vorrebbero un bel complotto, col calore a fare da contrappasso a quello già denunciato dei frigoriferi, ma non lo trovano e non sanno neanche inventarlo.