Cosa complica il piano Calenda?
Così il piano di rilancio industriale per Roma, promosso dal ministro dello Sviluppo è guardato con scetticismo trasversale dai partiti
Il progetto di un piano di rilancio industriale per Roma, promosso dal ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, è guardato con un certo scetticismo trasversale dai partiti, sia dal Pd sia dal M5s. Tra i deputati del Pd romano, in un clima paradossale di sospetti e di retropensieri, viene attribuita a Calenda l’ambizione di volersi candidare a sindaco di Roma. Nel governo di Paolo Gentiloni l’iniziativa del ministro dello Sviluppo è stata accolta con sorpresa, poiché – pare – il ministro non avesse avvertito nessuno, nemmeno il suo collega titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan. A Palazzo Chigi temono che l’intera operazione possa essere un assist a Virginia Raggi. Questo dovrebbe essere sufficiente a far pensare che invece il M5s sia assolutamente felice. E invece no. La sindaca Raggi, forse per la prima volta ben suggerita, all’inizio aveva colto subito i possibili vantaggi del piano Calenda (non ultimo, in caso di fallimento, quello di poter addossare la colpa al governo retto dal Pd). Eppure Raggi, dopo un iniziale entusiasmo, aveva frenato, tentennato, equivocato, perché sottoposta alle mille contorte pressioni del suo mondo di origine, da una strana sindrome della trappola e del complotto che spesso affligge i cinque stelle: “Stai attenta, fermati, questi vogliono commissariarci”, le diceva anche Paola Taverna.