Sergio Pirozzi (foto LaPresse)

Pirozzi si candida ma Berlusconi lo boccia

Salvatore Merlo

Caotiche regionali 2018. Destra spaccata, sinistra periclitante, mentre il M5s fiaccato dalla Raggi si rifugia in provincia

Quelle della primavera 2018 saranno le prime elezioni regionali che non si vincono scommettendo tutto, com’è stato fino a oggi, su Roma. Prima, soprattutto il centrosinistra, vincente nel 2013 con Nicola Zingaretti, puntava a fare il pieno nella Capitale per poi “contenere i danni” nelle altre province. Ma il nuovo tripolarismo italiano, la divisione dell’elettorato in tre gruppi che all’incirca si equivalgono per peso elettorale – centrodestra, centrosinistra e Movimento cinque stelle – precipita sul Lazio imponendo un nuovo schema e un nuovo modello anche di campagna elettorale. Si dovrà vincere mediamente un po’ dovunque, non soltanto a Roma. Ed è da qui che discendono una gran parte dei problemi che già adesso affliggono i tre poli. Nessuno se la passa bene. Non ci sono vincitori annunciati, malgrado la baldanza con la quale si muove e si esprime il centrodestra, che non ha ancora un candidato unitario, ma dopo le elezioni siciliane sembra comunque sospinto da una febbre d’entusiasmo che di solito, tuttavia, a quelle latitudini, porta a sonore pernacchie elettorali. Ma vediamo con ordine.

 

Il Movimento cinque stelle candida Roberta Lombardi, la nemica storica di Virginia Raggi. Con una certa intelligenza politica, con un insospettabile senso delle cose, Lombardi ha cominciato non a caso la campagna elettorale fuori Roma, dove ha piazzato la sede del suo comitato elettorale. Lombardi gioca a nascondino con Raggi, la dribla, evita di sovrapporre al suo volto quello della sindaca cadente, e batte molto la periferia dell’impero, appoggiandosi a quella rete di potere locale – si vota con le preferenze – che nel Lazio prima che altrove ha già in gran parte sostituito il vecchio “voto d’opinione” sul quale si fondava storicamente la forza del M5s, che ormai esprime sindaci, consiglieri comunali e provinciali, ciascuno con i suoi rapporti, i suoi consensi e le sue clientele. Non ci sono sondaggi veri e affidabili, ma l’analisi diffusa è che Lombardi ce la possa fare, ma solo se gli altri, il centrodestra e il centrosinistra, sbagliano tutto. Come sembra stia succedendo.

 

 

E infatti il centrodestra, che pensa di vincere le politiche, nel Lazio vagola pericolosamente. Ieri, come ampiamente previsto, Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, si è candidato alla presidenza della regione. Ma Forza Italia, come potrete leggere nella pirotecnica intervista qui sotto firmata da Valerio Valentini, non lo vuole. Silvio Berlusconi non ha alcuna intenzione di subìre una candidatura, dopo quella pur vincente di Nello Musumeci in Sicilia, che non sia espressione del suo mondo e della sua estetica elettorale. Ma Pirozzi non è ben visto nemmeno da Giorgia Meloni, che potrebbe risolvere la questione candidandosi lei (ma non ne ha intenzione, e dice, all’incirca: “Ho fatto il vicepresidente della Camera e il ministro a trent’anni. Ti pare che a quaranta mi candido nel Lazio?”). Non fa una piega. Così, accanto a Pirozzi, candidato ruspante e gentista di destra (leggete Marianna Rizzini qui a fianco), ci sono solo Francesco Storace, Gianni Alemanno, e un per adesso silenzioso, nascosto, e cauto Matteo Salvini. Si sta così componendo, a destra, uno scenario che ricorda quello delle ultime elezioni capitoline, quelle napoleonicamente vinte dalla Raggi. Anche allora il centrodestra si spaccò, con le candidature contrapposte di Alfio Marchini e Giorgia Meloni. Gli effetti sono noti, e disastrosi.

 

A sinistra, infine, si ricandida Nicola Zingaretti, impegnatissimo a tenere insieme una specie di “modello Lazio”: Pd e sinistra uniti. Come leggerete nella ricognizione di Gianluca De Rosa, il patto intorno a Zingaretti, questa idea di sinistra “larga”, sembra reggere. Tuttavia Zingaretti, specie se contrapposto in un testa a testa alla Lombardi e alla sua retorica anticasta, rischia di scontare gli anni passati al governo. Inoltre c’è un’incognita che riguarda la sinistra alla sinistra del Pd. Basterebbe che si staccasse un pezzettino, anche piccolo (Mdp e Sinistra italiana), capace di esprimere una candidatura minimamente appetibile per l’elettorato di sinistra-sinistra, abbastanza da indebolire, in una conta ai decimali, il fortino assediato del presidente uscente. E patatràc.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.