Il Campidoglio è paurosamente diretto dalla Casaleggio (a Milano)
Non solo il giudizio immediato per la Raggi. Anche il buon accordo con l’Emilia salta per gli interessi elettorali di Di Maio
Roma. “Non è politica, è Roma”, recitava lo slogan della campagna elettorale che portò Ignazio Marino in Campidoglio nel 2013. Diciotto mesi dopo il suo insediamento nell’ufficio con vista Fori Imperiali, la prima cittadina Virginia Raggi e il vertici del Movimento 5 Stelle hanno ribaltato copernicanamente quel motto per un quasi democristiano “non è Roma, è politica”. Non conta più l’interesse della città, il meglio per i cittadini romani o l’utile per la collettività. A palazzo senatorio le decisioni ormai si prendono al telefono con Milano e in base a ciò che conviene al Movimento 5 Stelle e alle sue strategie elettorali in vista delle urne del 4 marzo. Perché è ormai evidente che sono le ambizioni da premier di Luigi Di Maio e i progetti del grande burattinaio Davide Casaleggio a orientare l’azione di governo della Capitale. Emblematico il caso recente dei rifiuti che ricoprono le strade di Roma e che vanno smaltiti lontano dall’Urbe per non paralizzare il sistema di raccolta dell’Ama. Un’emergenza costante che i romani sono costretti a subire ogni giorno assieme alle fantasiose smentite dell’assessore Pinuccia Montanari, unica assieme ai vertici romani del Movimento a negare l’evidenza dei cumuli per le strade. L’accordo con l’Emilia Romagna era fatto e, per quanto soluzione temporanea, avrebbe consentito di sbloccare una situazione esplosiva che i romani denunciano da mesi. E invece sul piatto della realpolitik a testa in giù dei Cinque Stelle ha pesato molto il calcolo elettorale: troppo alto il rischio di vedersi usato contro l’argomento dei rifiuti della Capitale incapace di gestire la propria emergenza e costretta a chiedere aiuto alle Regioni amministrate dal Pd se non addirittura al nemico Pizzarotti e al suo inceneritore acceso ad onta delle promesse di Grillo. Non se ne fa niente, allora. E mentre si cercano soluzioni meno pericolose per l’immagine del Movimento, i cittadini romani continuino pure a fare lo slalom fra i rifiuti. “In questo gioco del “torello” del Movimento 5 Stelle, a rimetterci sono la Capitale d’Italia e i suoi cittadini”, ha commentato lapidario Federico Pizzaroti. “I grillini si professano diversi dagli altri – ha aggiunto il sindaco di Parma espulso dal M5S – ma alla fine dimostrano di dare precedenza alle strumentalizzazioni politiche. Invece che cercare soluzioni concrete, nascondono i rifiuti sotto al tappeto”.
Questioni di priorità, evidentemente. Virginia Raggi, del resto, deve averlo capito già da tempo chi comanda a Roma. Non fossero bastati gli assessori imposti da Milano e i parlamentari messi a farle da tutor dopo i casi Marra e Romeo, alla sindaca i vertici del Movimento (leggi Davide Casaleggio e i suoi strateghi di comunicazione) hanno imposto addirittura la linea difensiva da tenere nel processo che la vede imputata per falso nel caso delle nomine in Campidoglio. Niente udienza preliminare in piena campagna elettorale, si va a giudizio immediato a giugno a urne chiuse. “Molti giornali non vedevano l’ora di arrivare con il titolone sparato: “Raggi a processo”, dando l’impressione agli italiani di essere già arrivati a una condanna”, ha ammesso Alfonso Bonafede, uno dei due custodi mandati dalla Camera a vigilare sul Campidoglio. Come meravigliarsi, allora, se la giunta Raggi ha deciso di tenersi bene a distanza da quel processo non facendo costituire parte civile (e quindi eventuale vittima, con l’eventuale diritto a risarcimento in caso di condanna) Il Comune di Roma come invece non avevano mancato di fare né Gianni Alemanno né Ignazio Marino nei procedimenti che li avevano visti imputati da sindaci.
“Contro di me e la mia giunta, come per Ignazio Marino i suoi collaboratori, la costituzione come parte civile del Campidoglio è sempre stata imposta come un atto dovuto e un obbligatorio gesto di trasparenza”, ha infatti attaccato Alemanno. Trasparenza che evidentemente non va più tanto di moda dalle parti dei Cinque Stelle ora che in ballo ci sono le elezioni politiche e l’interesse privato conta molto di più di quello pubblico. Anche a costo di buttarsi alle spalle anni di campagne contro i finanziamenti pubblici all’editoria e lo spreco di risorse per annunciare il lancio di un settimanale di informazione sull’attività della giunta e diffonderlo in quindicimila copie nei Municipi della Capitale. Costo stimato per le tasche dei romani, 60 mila euro all’anno. “La realtà è che sono alla disperazione e stanno trattando la cosa pubblica come fosse roba loro”, commenta Roberto Giachetti, ex candidato sindaco Pd.