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Nel Pd romano c'è nostalgia di Marino?

Marianna Rizzini

Visti i sondaggi (e vista la Raggi) nel Partito democratico s’avanza la corrente “ah, quando c’era lui!”

Roma. Ora che l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino è stato condannato dalla Corte d’Appello per il cosiddetto “caso scontrini” per cui era stato assolto in primo grado (accusa di peculato e falso per la vicenda delle cene pagate con la carta di credito del Campidoglio) – e ora che lo stesso Marino, pensando al ricorso in Cassazione, ripete “di non aver mai speso un euro pubblico per fini privati” – non pochi nel centrosinistra, sottotraccia, hanno pensato “peccato”. Peccato che la condanna sia giunta adesso, ma soprattutto peccato sia andata com’è andata, dimissioni coatte del sindaco comprese.

 

Che cosa sarebbe successo, si domandano infatti anche nel Pd in cui fuoco amico s’accese, se Marino non fosse caduto dopo due anni e mezzo di mandato, con vaste aree del partito e con l’opposizione di destra e a Cinque stelle che non nascondevano la volontà di “commissariarlo”?

 

La domanda sorge non soltanto di fronte agli intoppi della sindacatura Raggi, prima cittadina che è post-Marino tanto quanto Marino era proto-Raggi (entrambi di società civile, entrambi votati al culto anche lessicale dell’onestà e trasparenza) ma che, alla luce dei primi due anni di governo romano, è stata capace di far rimpiangere Marino (“persino Marino”, come dicono i detrattori), e non una sola volta.

 

I primi mesi del 2018, infatti, sarebbero stati mesi pre-elettorali nel caso in cui un Marino non sfiduciato (di fatto) dal proprio partito di riferimento, e non passato attraverso le dimissioni forzate, avesse deciso di correre per un “Marino bis”. E lo scenario immaginato porta a figurarsi una Roma che non c’è, ma che – e chi lo sa – sarebbe potuta essere meglio dell’attuale: se l’ex sindaco fosse rimasto in Campidoglio, infatti, fermi restando i difetti del Marino pedante, permaloso e gaffeur – “marziano” nel senso anche tragicomico del termine – non soltanto non ci sarebbe stata l’incoronazione frettolosa e di pancia di Virginia Raggi, ma si avrebbe oggi, quasi sicuramente, una gestione rifiuti meno caotica (“chiusi Malagrotta e feci il piano Ama”, dice Marino a ogni ondata di soverchiante monnezza, e nel Pd che fu suo nemico, sommessamente, in molti gli danno ragione). E si avrebbe, probabilmente, l’assegnazione olimpica in saccoccia e uno stadio della Roma in linea con il pubblico interesse. Non per niente l’ex sindaco, circa un anno fa, sullo stadio della Roma scrisse una lettera a Repubblica per ricordare “i fatti”: “…La delibera della mia Giunta …dichiarò il pubblico interesse all’opera condizionandolo… alle opere connesse all’impianto sportivo e utili alla qualità della vita delle romane e dei romani…”. Ed è un po’ il colmo dei colmi, eppure il “marziano” risulta, ex post, meno marziano di colei che i romani hanno chiamato per far dimenticare l’astronave.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.