Atac e il favore di Raggi alle banche creditrici
Le carte al vaglio dei pm. Fu la giunta ad autorizzare i pagamenti quando l’azienda insolvente si avviava al concordato
Roma. Ora che le carte su quei pagamenti milionari alle banche sono stati inviati dai giudici del Tribunale Fallimentare di Roma al pubblico ministero Alessia Miele, titolare del fascicolo sui rapporti fra Bnl e Atac e sulle pressioni che il dirigente dell’istituto di credito Giuseppe Pignataro avrebbe fatto per scongiurare la richiesta di concordato dell’azienda dei trasporti, in molti negli uffici del Campidoglio e in quelli della municipalizzata hanno iniziato ad aver paura.
“Prescindendo da qualsiasi riflessione circa la possibile illiceità degli stessi”, è infatti scritto nel decreto del Tribunale dove raccogliendo anche il parere favorevole della procura si ipotizza addirittura la possibilità di revocare quei pagamenti che hanno permesso alle banche di rientrare di buona parte dei propri crediti nei giorni immediatamente precedenti all’avvio della procedura di concordato. Un trattamento che, di fatto, avrebbe quindi permesso agli istituti di essere trattati come creditori privilegiati pur non avendone il diritto e che di conseguenza potrebbe configurarsi come una violazione della legge fallimentare della quale qualcuno sarebbe chiamato a rispondere in un’aula di tribunale. Già, ma chi?
I vertici dell’Atac che si sono affrettati a spiegare che “i rimborsi sono avvenuti nei mesi anteriori alla presentazione del ricorso, tramite meccanismi di rimborso automatico previsti in contratti stipulati negli anni precedenti anteriormente all’ingresso dell’attuale Consiglio di Amministrazione”? O anche i vertici capitolini, sindaco Virginia Raggi in testa, che a quell’accordo siglato il 9 maggio scorso dall’allora amministratore unico Manuel Fantasia hanno dato il via libera quando l’ipotesi del concordato era già sul tavolo?
Per capire infatti qual è stato il percorso che ha portato a quella firma occorre fare due passi indietro. Il primo fino al 12 ottobre del 2016 quando la giunta capitolina approvò il piano di rientro di Atac nei confronti del Comune, posticipando da luglio 2017 a gennaio 2019 il termine per l’inizio dei pagamenti della rateizzazione del debito da 429 milioni di euro. “Ci permetterà di ricontrattare il debito di Atac con le banche in scadenza al 16 ottobre 2016 – spiegava l’assessora alla Città in movimento Linda Meleo – Quelle risorse potranno essere dirottate alle banche per liquidare il prestito per un piano di ammortamento con chiusura al 2019”.
Forte di questo atto di “indirizzo politico”, e siamo a primavera 2017, Fantasia prova a chiudere l’accordo con gli istituti di credito ma davanti al notaio serve un’altra e ben più solida garanzia. Così, il 27 aprile la giunta capitolina approva la deliberazione numero 80 con oggetto “Determinazioni di Roma Capitale in ordine agli argomenti iscritti all’Ordine del Giorno dell’Assemblea Ordinaria dei Soci di ATAC S.p.A.”. E’ il via libera che serve a Fantasia per sedersi di nuovo al tavolo con gli istituti bancari e chiudere il 3 maggio l’accordo per rinegoziare il debito e dilazionare in tre anni il pagamento di 167 milioni al costo di altri 5.795.985 euro di soli interessi: 84 milioni 820 mila euro, prevede l’accordo che ricalca quanto approvato dalla giunta una settimana prima, saranno rimborsati nel 2017 dei quali 25.000.000,00 alla data di stipula dell’accordo, 59 milioni 170 mila euro nel 2018, 23 milioni diecimila euro nel 2019.
Così un’azienda già insolvente, con difficoltà di pagamento degli stipendi (il Comune si fece garante ad agosto) e delle fatture per i contratti di manutenzione ordinaria come quelli per l’aria condizionata, si impegnava a versare alle banche circa 8 milioni e mezzo di euro al mese quando già circolava l’idea di accedere al concordato (la domanda sarà presentata in tribunale il 18 settembre). Un impegno gravoso che, sottolineano fonti interne all’Atac è stato fra le cause principali della grave mancanza di liquidità che ha messo in ginocchio l’azienda durante l’estate.
Eppure, scrivono i giudici del Tribunale Fallimentare nel decreto con cui la scorsa settimana hanno duramente contestato il piano di concordato chiedendo profondi cambiamenti, “alla data del 31 agosto 2017 Atac ha rimborsato al ceto bancario l’importo di 55 milioni in linea capitale” senza che “la restituzione sia stata effettuata a fronte di nuove linee di credito”. Regista dell’operazione, si racconta a via Prenestina, è Paolo Simioni: il fedelissimo dell’allora assessore Massimo Colomban, ai tempi assunto da Acea con contratto da 240 mila euro spacchettato in parti uguali con Ama e Atac per guidare il gruppo di lavoro per la riorganizzazione delle partecipate, forse non a caso nominato ai primi di agosto presidente, amministratore delegato e direttore generale dell’azienda capitolina dei trasporti. Un triplice incarico (ma non è il solo, ci sono anche i suoi predecessori) su cui indaga la procura romana.
Ora però quell’accordo “di favore” con le banche è uno degli argomenti con cui i giudici del Tribunale Fallimentare Antonino La Malfa, Lucia Odello e Luigi Argan hanno di fatto bocciato il piano concordatario dando all’Atac settanta giorni di tempo (l’udienza è stata fissata per il 30 maggio) per rivedere radicalmente un progetto costato quattro mesi di lavoro e 12 milioni di euro di parcelle dei consulenti.
Nonostante il conto salato, però, per i giudici quello depositato in Tribunale è un piano “inidoneo”, infarcito di progetti generici, perizie superficiali e soluzioni di efficientamento dei servizi a dir poco approssimative. Per questo in Campidoglio la Raggi ha riunito attorno a sé una sorta di task force per provare a rimediare e sventare il rischio di una bocciatura definitiva che porterebbe Atac al fallimento e il trasporto pubblico romano al collasso.