Come si fa ripartire il Lazio
“Senza maggioranza precostituita”. Zingaretti alla prima prova del vivacchiare
Roma. Il modello Zingaretti, il metodo Zingaretti, il paradigma Zingaretti: se ne parla (anche fantasticando) dal 4 marzo, cioè da quando il Lazio sembra l’immagine rovesciata dell’Italia, con il candidato del Pd vincente e i Cinque stelle non premiati dalle urne. Ma ieri il metodo Zingaretti è stato visto per la prima volta nella sua realtà. E, durante il discorso inaugurale del presidente riconfermato della regione, anche candidato futuro alla segreteria del Pd, sono risuonate più volte le parole “agenda possibilmente condivisa” e “senza maggioranza precostituita” (nel corso del discorso, Zingaretti l’ha detto almeno tre volte). Da un lato è pura constatazione: la maggioranza in effetti non esiste, nel nuovo consiglio regionale, anche se nei giorni scorsi l’ex arcinemica di Zingaretti Roberta Lombardi, già candidata alla presidenza del Lazio per i Cinque stelle, era parsa molto vicina all’intesa cordiale con il Pd, ieri smentita dalla stessa Lombardi (“noi siamo all’opposizione”), anche se poi in parte confermata, in prospettiva, a livello di dialogo sui “temi e a tempo” (un dialogo che in teoria è “con tutti” ma in pratica è già sbilanciato sul confine M5s-Pd). Dall’altro lato il governatore pare predisporsi a galleggiare, sebbene sul filo dell’“ascolto” e del “confronto nel merito”, come se si fosse “al Parlamento europeo”, in nome della “bella politica” (omaggio a Walter Veltroni?) e buttando lì (artificio retorico?) l’ipotesi-tagliagola: se ci sarà “immobilismo patologico si tornerà a votare”. Ma non ci crede nessuno, nell’Aula consiliare, quasi quasi neanche quelli che il ritorno al voto lo mettono al primo punto della lista dei desideri, vedi un plumbeo Sergio Pirozzi, il già candidato indipendente di centrodestra alla presidenza della regione che ieri, roteando il braccio nell’aria, definiva il neogovernatore “astuto” e, “con tutto il bene”, anche “paraculo”, proprio per via del suo accenno alla condivisione e allo spirito di collaborazione tra avversari (Pirozzi è per la mozione di sfiducia). Non ci crede nessuno, al possibile ritorno al voto, neanche quando Stefano Parisi, già candidato governatore per il centrodestra, aggredisce la relazione programmatica in dieci punti di Zingaretti (dieci punti tra cui sanità, rifiuti, giustizia sociale, turismo, piano paesaggistico e commercio) al grido di “dobbiamo parlare il linguaggio della verità”, “abbiamo visioni diverse sullo sviluppo della regione” e “serve discontinuità” (leitmotif di un Parisi perentorio di fronte a uno Zingaretti dagli angoli smussati). Ma le parole morbide e le parole dure – forse già incastonate nei nuovi giochi di ruolo incrociati – non cancellano il sottotesto: vivacchiare stanca, vivacchiare si dovrà.