Velluti, satin e mantelli. La nuova Raggi, tra abiti e mondanità
Nemmeno due anni al Campidoglio e il suo armadio fatto di pantaloni palazzo, bluse, collanine a filo unico, giacche diffusione tessile è finito in soffitta
È successo, tra il comune di Roma e Virginia Raggi, quello che succede ai due amanti di Verranno a chiederti del nostro amore di De André, quando dopo parecchio tempo e alcuni “non sono riuscito a cambiarti, non mi hai cambiato lo sai” e “non sei riuscita a cambiarmi, non ti ho cambiata lo sai”, finisce che “sono riusciti a cambiarci, ci son riusciti lo sai” – fatalità, a un certo punto la canzone fa “dimmi, senza un programma, dimmi, come ci si sente?”.
“Sono la sindaca di tutti”, ha detto all’Hotel de Russie (luogo per persone con doppio cognome e/o azienda o emirato in tasca), ai soci dell’Ambrosetti club, prima di far presente che ha ridotto i tempi di pagamento della sua amministrazione ai privati e pure che altre coccole sono in vista. Un po’ per saggezza e un po’ per imbarazzo, da ottima stagista d’affari, dell’incontro non ha detto né lasciato traccia sui social. Non che sia stato sufficiente a dissimulare la sua metamorfosi in movimentista di governo.
Sembrava che mai e poi mai avrebbe dimesso i pantaloni palazzo, le bluse co-Raggio (indimenticabile quella boho-chic della prima conferenza stampa da sindaco, quando disse che il vento stava cambiando e infatti da ninfa del vento era vestita), le collanine a filo unico, le giacche diffusione tessile. Sembrava che mai si sarebbe tolta di dosso quell’eleganza a metà, da avvocati impoveriti da Bersani. E invece, accidenti, nemmeno due anni al Campidoglio e quel suo armadio dell’inespugnabilità ai codici della casta è finito in soffitta.
Alla prima del teatro dell’Opera, ha presenziato in un Gattinoni tutto velluto, satin, tulle, e sopra una cappa che fu di Anna Magnani: “Un’eroina della lirica ottocentesca”, ha scritto l’Huffington Post. In campagna elettorale, sono comparse le perle su camicetta di seta bianco sporco e tailleur gessato. E, pochi giorni fa, il culmine, l’epitome del cambiamento di governo al posto del governo di cambiamento, il momento in cui Raggi è parsa una collega di partito di Maria Elena Boschi, una che con Paola Taverna non c’entra niente, una che non vedeva l’ora di piantarla con lo “stiamo bene qui, seduti in riva al fosso” perché ha capito che, laggiù, ci stan seduti solo rospi sconvenienti da baciare. “Ho partecipato al Dinner Gala a Villa Miani organizzato da Formula E e dalla Fondazione Alberto di Monaco, con il patrocinio di Bulgari, con abito di Alta Moda della Maison @balestra_roma, un abito in broccato laminato nel colore Blu Balestra”: questa è la didascalia che accompagna lo scatto in cui Raggi compare in lungo blu coeur de l’Ocean, con mantello e strascico, e che avete visto su tutti i giornali e su Facebook, Twitter, WhatsApp, ogni tanto accanto a immagini di Cenerentola o di Anna Marchesini vestita da fata turchina.
Oltre a soccorrere chi compila le didascalie delle gallery fotografiche dei giornali e a dimostrarci che segue Chiara Ferragni senza, tuttavia, aver capito molto di come si pubblicizza un marchio (e nemmeno una città, che poi è la stessa cosa), in quelle battute Virginia Raggi ha chiesto un po’ scusa, per essere diventata una signora, e ha voluto anche chiarire che lei, comunque, non sarà mai una con tutte stelle nella vita (quelle, di solito, non hanno bisogno di dire cosa indossano e dove vanno: sanno che ci sarà qualcuno che lo farà per loro e, per questo, maligneranno a migliaia). Ha regalato a Roma un trucco che al comune non porta e ci siamo tutti stupiti di come lo abbia rimarcato, credendo che lo facesse per vanagloria, mentre l’ha fatto per fingersi goffa e dire che sì, il Campidoglio e il potere l’hanno cambiata, ma solo per forma e di certo non oltre la mezzanotte.