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A Roma la cultura è sotto sfratto

Massimo Solani

Gli affitti si pagano ma qui chiude tutto: il teatro dell’Orologio, l’Accademia filarmonica, la scuola di musica di Testaccio…

Roma. La Casa Internazionale delle Donne oggi, l’Angelo Mai ieri e prima ancora il teatro dell’Orologio e molti altri. Il rischio sfratto che pende sopra la testa di centinaia di presidi culturali, onlus sociali e associazioni di volontariato porta due firme. La prima è quella della famigerata “Delibera 140” della giunta Marino fatta nel 2015 per rimettere ordine nel “patrimonio indisponibile in concessione” del Comune di Roma e traghettare il Campidoglio fuori dalla palude dello scandalo di Affittopoli. La seconda è quella della giunta Raggi che, dopo aver sbandierato il tema degli sfratti in campagna elettorale, ha poi di fatto confermato la delibera promettendo di rimettere mano alla disciplina degli affitti agevolati sugli immobili di proprietà comunale per le associazioni che svolgono attività di interesse sociale rimandando tutto ad un regolamento di cui, nonostante alcune bozze circolate, non c’è ancora traccia ufficiale. Col risultato che a quasi due anni dall’insediamento di Virginia Raggi e a un anno dalle quasi mille raccomandate inviate dal dipartimento al Patrimonio del Comune per la riscossione degli affitti arretrati calcolati sui prezzi di mercato, ci sono più di cento ordini di sfratto che pendono sulla testa di associazioni e onlus. Mentre le prime vittime si sono già dovute arrendere e abbassare le serrande nonostante una sentenza della Corte dei Conti abbia ridato qualche speranza a tutti.

  

E’ il caso ad esempio del “Museo del Teatro e dell’Attore” del Burcardo, di proprietà della Siae, che ha chiuso la sede di via del Sudario che occupava dal 1929 con dentro tutto il prezioso materiale su Petrolini, Pirandello e il teatro italiano che la Società Autori e Editori si è offerta di donare al Comune di Roma a patto che trovi un luogo adatto per l’esposizione. Chiuso da gennaio, per gli stessi motivi, anche il “Teatro del Giallo” a cui la scorsa primavera è stato intimato il rientro di 814mila euro di arretrati da pagare, come recitavano tutte le raccomandate, “tramite versamento con bollettino postale o bonifico bancario entro 30 giorni dalla data di ricevimento”. Chiuso anche il Teatro dell’Orologio a cui la questura nell’aprile di un anno fa ha messo i sigilli per la mancanza di una uscita di sicurezza ma a cui nel frattempo il Campidoglio aveva chiesto 600mila euro di affitti arretrati. E’ andata meglio, invece, al Teatro Petrolini messo in salvo per ora, come per l’Angelo Mai, da un intervento diretto del vicesindaco e assessore alla Cultura Luca Bergamo. Sotto sfratto restano però anche la scuola di musica “Sylvestro Ganassi” e la “Fondazione italiana per la musica antica”, compresa la preziosa biblioteca e la collezione unica in Italia di riviste dedicate all’organologia e alla liuteria. Ma a rischio chiusura ci sono anche realtà più grandi e note. Come l’Accademia Filarmonica Romana che negli splendidi locali della Casina Vagnuzzi che occupa dal 1921 oltre all’importante attività didattica e concertistica si occupa di un archivio musicale di grande pregio. E la “Scuola Popolare di Musica” di Testaccio fondata quarant’anni fa da Giovanna Marini a cui il dipartimento del Patrimonio ha intimato il rientro di un milione di euro di affitti arretrati.

  

Tutte realtà che fanno parte del lunghissimo elenco di associazioni e onlus che rischiano di vedersi buttare in strada e di essere costrette a interrompere un’attività importantissima. Soprattutto nel campo del sociale dell’assistenza ai più deboli. Perché nella black list del Patrimonio c’è un pezzo di città e del suo tessuto di volontariato che adesso la burocrazia contabile rischia di cancellare. Come il “Grande Cocomero” che a San Lorenzo accoglie i bambini in cura al Policlinico Umberto I, l’associazione “Viva la vita” che si occupa dei malati di Sla, “Per la Strada” che lavora con i senza fissa dimora della stazione Termini e  “A Roma Insieme-Leda Colombini” con i suoi progetti per i bambini che vivono nel carcere di Rebibbia. O, ancora, come il “Celio Azzurro”, l’asilo multiculturale fiore all’occhiello dei progetti di integrazione della Capitale. O il “Telefono Rosa” che ogni anno aiuta più di mille donne con consulenze legali gratuite e sostegno psicologico e il centro antiviolenza “Marie Anne Erize” di Tor Bella Monaca. I locali che occupano, stando alle indiscrezioni sul nuovo regolamento, dovrebbero essere riassegnati con un bando da cui però rischiano di restare fuori i soggetti morosi con il Comune di Roma. Ossia proprio quelli che li hanno curati, animati, gestiti e spesso ristrutturati. Un deserto culturale e sociale.