Che tipo di aiuto può chiedere (e ottenere) Raggi dal nuovo governo
Di Maio troverà spazio per il sindaco di Roma in cima alle priorità della sua complicata agenda? Dubbi, sospetti e strategie
Roma. Fra Palazzo Chigi e La Pisana, passando fra i sanpietrini disastrati di piazza Venezia ai piedi del Campidoglio, ci sono venti chilometri scarsi di strada. Eppure bastano questi ventimila metri dal centro fino alla periferia per fare un viaggio dentro quello che è oggi il Movimento Cinque stelle dopo il varo del governo Conte che segna l’approdo di quella lunga marcia cominciata da Beppe Grillo con il primo “V Day” di Bologna l’8 settembre del 2007.
Undici anni che se da una parte sono serviti a prendersi il paese, dall’altra hanno visto il moloch della purezza movimentista diluito in un pragmatismo che a Roma ha ribaltato regole, istituzionalizzato eccezioni e covato feroci correnti carsiche. Ne sa qualcosa Virginia Raggi che nella sua rincorsa al Campidoglio, spinta alle spalle dal vento milanese di Gianroberto Casaleggio, ha sperimentato e alimentato veleni interni che dal dossieraggio pre-elettorale contro l’avversario Marcello De Vito fino alle tensioni con l’ex minidirettorio imposto dai vertici dopo i disastri dei primi mesi l’hanno isolata dentro al Movimento obbligandola al “commissariamento” imposto da Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. Ovvero gli artefici della svolta governista che ha aperto a Giuseppe Conte le porte di Palazzo Chigi paracadutandolo sulle basi di un’alleanza con la Lega che qualche anno fa nessuno avrebbe neanche osato sognare nel timore di infrangere le sacre regole del Movimento. Quelle di cui Roberta Lombardi, che pure oggi in Regione non si dispiace della “pacifica convivenza” che permette a Nicola Zingaretti e al Pd di governare il Lazio pur senza avere una maggioranza, è stata a lungo custode e interprete assieme ad una larga fetta della base dei meet up e ad un pugno di parlamentari scivolati nell’ombra ora che Roberto Fico, leader riottoso dell’ala movimentista, si è ingessato istituzionalmente negli uffici della presidenza della Camera.
La luna di miele con il paese del governo Conte è appena iniziata, però presto ci sarà da fare i conti con quella già terminata di Virginia Raggi con i romani e quella mai partita di Roberta Lombardi con il Lazio. Perché per governare il paese servirà innanzitutto governare il Movimento, bloccarne le forze centrifughe, arginare carrierismi e evitare pericolose trappole. E Roma, da tempo, è la più pericolosa. Lo sa bene Luigi Di Maio che nel tentativo di tenere in piedi Virginia Raggi travolta dagli scandali e far naufragare la prima vera sfida di Governo grillino aveva inviato in Campidoglio Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro a fare da tutor alla sindaca. Ora che i dioscuri del capo hanno trovato posto nel governo, però, Virginia Raggi è di nuovo libera e sola. E esposta ai venti del disastro che minacciano la giunta capitolina a Cinque Stelle fra l’emergenza rifiuti, il caos trasporti con Atac sull’orlo del fallimento e una macchina amministrativa a dir poco ingolfata e apparentemente incapace di affrontare con successo anche la sola questione delle buche. La lista dei sintomi di una malattia che non sembra regredire è lunga e pericolosa.
Per questo Virginia Raggi, nel giorno della Festa della Repubblica, non ha esitato a farsi avanti con il presidente del Consiglio Luigi Conte per “bussare a denari” (“Servono due miliardi per far ripartire le casse del Comune…”) e chiedere poteri più ampi per il governo della Capitale. A due settimane dall’inizio del processo per falso in relazione alla nomina di Renato Marra e con il rischio di una condanna che, per statuto del Movimento la costringerebbe alle dimissioni, il tempo per Virginia Raggi inizia a stringere. Lo dimostra la protesta dei sindacati che ieri pomeriggio sono arrivati sotto il palazzo senatorio per denunciare “l’immobilismo del Campidoglio“ di fronte alla depressione economica e industriale che ha travolto la Capitale. “Non ci sono progetti per uscire dalla crisi e fermare il declino della città”, accusava nei giorni scorsi il segretario della Cgil di Roma e del Lazio Michele Azzolla presentando la mobilitazione “Quanto eri bella Roma”. Temi che nei mesi scorsi erano stati al centro del “Tavolo per Roma” che l’ex ministro Calenda aveva promosso al ministero per lo Sviluppo Economico e che è però naufragato fra reciproche accuse alla vigilia delle elezioni.
Per riaprirlo, eventualmente, ora servirà l’impegno del neo ministro Luigi Di Maio a cui toccherà il compito di correre in soccorso della Capitale (senza indispettire l’alleato leghista) e sostenere ancora una volta quello che era il banco di prova delle capacità amministrative del Movimento e che per mesi è stato la mina più pericolosa pronta a deflagrare sulla strada che portava a Palazzo Chigi. Ora però che le elezioni sono passate e la campagna elettorale (forse) ancora lontana, Di Maio troverà spazio per Virginia in cima alle priorità della sua complicata agenda di governo? Servirà anche l’aiuto di Roberta Lombardi, che pur arrivata al secondo e ultimo mandato sullo scacchiere della Capitale muove ancora molte truppe. A patto che l’ascia di guerra sotterrata a favor di telecamere prima del voto sia ancora al riparo dai veleni e il Movimento a Roma giochi sia un attacco a tre punte e non una guerra per bande.