Luca Lanzalone (foto LaPresse)

“Lanzalone piovve dal nulla e Raggi volle ignorarmi”. Parla Berdini

Valerio Valentini

L’ex assessore all’urbanistica si dimise protestando per l’ingerenza sullo stadio da parte dell’avvocato mandato da Genova

Roma. Siccome ci tiene, a che nessuno possa rimproverargli mancanza di eleganza, Paolo Berdini quasi ostenta la sua ritrosia – un imbarazzo divertito, a ben vedere – nel dire che sì, lui l’aveva detto. “A Virginia Raggi, quantomeno, e ai suoi più stretti collaboratori: con loro ero stato chiaro”. Aveva detto, insomma, che lo stadio della Roma non andava fatto. O, almeno, non in quel modo. E però? “E però, semplicemente, non fui ascoltato. Anzi, fui ignorato, silenziato, messo ai margini”. E fu così che alla fine, nel febbraio del 2017, il professore si dimise da assessore all’Urbanistica, lasciando una giunta in cui, sin dall’inizio, s’era trovato a convivere con presenze ingombranti e poco gradite. “Per mesi denunciai alla Raggi che non era accettabile lo strapotere di Raffaele Marra in Campidoglio, e lo feci pubblicamente”. E la beffa, però, fu nel fatto che l’estrema umiliazione arrivò, per Berdini, proprio quando tutto pareva potersi risolvere per il meglio. “A dicembre, quando Marra venne rimosso da vice-capo di gabinetto, tirai quasi un sospiro di sollievo”. E invece? “E invece – ricorda Berdini – ecco che dal nulla salta fuori questo avvocato, questo Luca Lanzalone. Uno che nessuno, né tra i consiglieri né tra i membri della giunta, sapeva chi fosse. Perfino la sindaca dimostrava di non conoscerlo davvero, anche se ce lo presentò come una sorta di uomo della provvidenza”.

 

E insomma “piovve dal nulla”, Lanzalone, insieme a Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, oggi ministri del governo del cambiamento ma all’epoca due anonimi deputati arrivati a inizio 2017 per commissariare di fatto una prima cittadina in profondo affanno. Veniva da Livorno, in verità, Lanzalone. Lì aveva gestito, per il sindaco grillino Filippo Nogarin, il tribolato concordato di Aamps, la municipalizzata della monnezza sull’orlo del baratro. “Anche questo era incredibile”, sbotta Berdini. “Ma vi pare possibile che Livorno sia l’ufficio di collocamento di chi vuole venire a governare Roma? Lanzalone, Lemmetti”, sbuffa l’ex assessore, riferendosi anche all’attuale titolare del Bilancio, pure lui prestato a Virginia dall’amico Filippo, “insomma la Capitale d’Italia s’è ridotta a essere la succursale del capoluogo toscano?”. Sorride d’amaro disincanto, Berdini, ma si capisce che è un distacco più esibito che maturato davvero, rispetto alle vicende di quei mesi. E forse è anche per questo che la risata si tramuta in ghigno, e il vecchio militante del Pci s’accalora: “E’ intollerabile che un assessore venga scavalcato, costretto all’indifferenza da una persona che non ha alcun incarico ufficiale”. Era consulente della giunta, in verità. Anche se Berdini, nel suo libro di denuncia “Polvere di Stelle”, lo definì un “grande esperto di banche” che vantava “legami con quel mondo finanziario globalizzato insofferente a ogni tentativo di regolare il governo urbano”.

 

Non esattamente un ritratto edificante, per uno che viene arruolato dai vertici un movimento che predicava la palingenesi morale, prima ancora che politica. “E’ finita invece che gli impegni presi in campagna elettorale”, i principi mille volte propaganti con intransigenza e talvolta perfino con fanatismo, “sono stati calpestati nel giro di qualche settimana”. E il tutto, in onore alla trasparenza, nel rispetto della democrazia diretta, “è accaduto nel segreto di qualche stanza dalla quale gli assessori responsabili venino tenuti fuori”. Meglio, allora, venirne via il più in fretta possibile, magari sfruttando un incidente imbarazzante, come un colloquio scivoloso col cronista scafato, in cui dire l’indicibile sulla sindaca, sulla sua corte dei miracoli e sui suoi rapporti amorosi con Salvatore Romeo, per poi protestare inutilmente e urlare all’imboscata giornalistica. E dimettersi. Diceva pure, Berdini, in quel colloquio fatale, di essere grande amico di Paolo Ielo (“Bravissima persona, lo conosco personalmente”), lo stesso pm che ora ha scoperchiato il vaso di pandora su Tor di Valle. E forse anche per questo c’è chi maligna che Berdini, delle carte in mano alla procura, ne sappia parecchio. E però, di questo, l’ex assessore preferisce non parlare. Richiamato, non risponde. Quel che doveva dire, in fondo, lo ha già detto.

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