Foto LaPresse

La startup romana dei rider che fa concorrenza alle app anglosassoni

Maria Carla Sicilia

Il cibo a domicilio di Moovenda. “Non paghiamo a cottimo e assumiamo. Oggi siamo un modello per gli altri”

Roma. Prima che in Italia arrivassero Foodora, Deliveroo e le altre piattaforme che permettono di ordinare cibo a domicilio su internet, a Roma sfrecciavano già i primi rider, ma si chiamavano moovers. Moovenda è il nome dell’app che nasce nel 2015 dal progetto di tre giovanissimi romani, grazie a un finanziamento per startup da 70 mila euro che ha permesso loro di sviluppare un nuovo modello di impresa. Oggi, dopo tre anni, la startup ha raccolto investimenti per circa 2 milioni di euro e da Roma ha raggiunto anche Torino, Cagliari, Napoli, Viterbo e Cosenza. Ha assunto circa 350 persone, tra rider e personale impiegato in diversi settori (dallo sviluppo delle app, al marketing, al commerciale) e ha circa mille ristoranti nella sua rete.

  

L’idea su cui si basa Moovenda è simile a quella delle altre piattaforme, ma le modalità con cui l’azienda lavora sono in parte diverse. “I nostri rider hanno tutti un contratto co.co.co. di sei mesi o un anno – spiega al Foglio Simone Ridolfi, uno dei tre fondatori di Moovenda – e non vengono pagati a cottimo ma a turno”. Per ogni turno, che dura quattro ore, la paga è di 25 euro netti, più un rimborso spese per chilometri percorsi. Sono incluse nel contratto l’assicurazione per infortuni e i contributi previdenziali. Rispetto ai competitor poi c’è un’altra differenza. Moovenda non usa un algoritmo per organizzare gli orari di lavoro, ma ne affida la gestione ad alcuni responsabili che assegnano i turni in base alla disponibilità dei rider. In questo modo si aggira il problema dei criteri “poco trasparenti” con cui le altre piattaforme permetterebbero ai fattorini di accedere ai turni. Velocità, efficienza e disponibilità a lavorare nei turni più scomodi, sono i criteri che secondo i rider verrebbero usati per stilare un rating sul loro lavoro. E tra gli altri, questo è uno degli aspetti che Luigi Di Maio vuole chiarire con le piattaforme e i sindacati nel tavolo di confronto convocato per il secondo incontro il 2 luglio.

  

“Siamo gli unici al tavolo a non aver avuto problemi – sostiene Ridolfi – e auspichiamo che il nostro metodo sia preso come modello”. E a leggere le richieste avanzate dal ministro, in effetti molte si ritrovano già nelle condizioni di lavoro offerte da Moovenda. Ma come si fa a garantire questo tipo di tutele anche essendo una realtà piccola e nuova? “E’ l’algoritmo con cui gestiamo la logistica che ci permette di organizzare al meglio il lavoro, le consegne e ottimizzare i costi, riuscendo così ad avere margini migliori per pagare i nostri rider. L’algoritmo, di cui siamo proprietari, è il centro della nostra attività ed è stato sviluppato grazie al finanziamento iniziale a cui abbiamo avuto accesso, in collaborazione con alcuni ricercatori dell'università Tor Vergata”. Sulla base dei calcoli che fa il codice, vengono organizzate le consegne e distribuite tra chi è in turno. “La maggior parte dei nostri rider lavora in motorino e per questo non ha un limite di chilometri, ma si muove su tutta Roma. Preferiamo avere corse più lunghe per rendere i percorsi più produttivi possibile, anche se il fattorino viene comunque pagato per il tempo che lavora e non per le consegne che effettua”. Ridolfi conferma che a voler fare i rider sono in percentuale maggiore giovani studenti o lavoratori che raggruppando impieghi part time cercano di avere un’entrata economica più solida. Ci sono eccezioni, ma nell’esperienza di Moovenda si tratta di casi isolati. E la flessibilità dei contratti proposti corrisponde alle esigenze di chi sceglie questo lavoro. “In tre anni di attività solo tre persone sono rimaste a lavorare con noi. Una di questa è un ex rider che è cresciuto con Moovenda e oggi lavora come responsabile della contabilità. Tutti gli altri sono andati via seguendo altre ambizioni”.

Di più su questi argomenti: