"Perché voto No al referendum sull'Atac". Parla Eugenio Patanè (Pd)
"È populismo", dice il consigliere regionale del Lazio. "È giusto che ci sia un dibattito nel nostro partito. Però si doveva fare prima"
Roma. “Sono sorpreso che uno come Carlo Calenda che da ministro ha dimostrato di sapersi fare carico della complessità delle cose, oggi si faccia ingannare da un referendum populista”. A parlare è Eugenio Patanè, consigliere regionale del Pd, e si riferisce il referendum sulla liberalizzazione del trasporto pubblico locali del prossimo 11 novembre.
Populista? In che senso?
“Nel senso che invece di spiegare la complessità della gestione del Tpl cerca di convincere la gente a votare in base alla disastrosa situazione dei mezzi pubblici che non dipende da Atac. Calenda sa quali sono le vere cause del malfunzionamento?”.
Quali sono?
“Premetto, la mia non è una presa di posizioni in generale. Anzi sono favorevole alla gara pubblica, sono contrario alla gara in questo momento”.
Ah, perché?
“Perché il Sì oggi significa la distruzione dell’azienda e delle casse comunali. Se i soci votano il piano concordatario al 2030, e il Tpl va a gara Atac fallisce e le aziende creditrici non si iscriveranno al passivo del fallimento, ma faranno causa al comune che così incamererà il debito di Atac. Il problema prioritario oggi non è chi gestisce il servizio, ma la flotta vetusta e le infrastrutture che mancano”.
Se la flotta è vetusta è perché una gestione pubblica del servizio ha fatto sì che dal 2008 al 2013 nessuno acquistasse un autobus…
“L’acquisto dei bus e la programmazione delle infrastrutture rimarrebbero in capo al comune, quindi non cambierebbe nulla in caso di cattiva gestione politica. Il problema sono i pochi soldi stanziati nel Fondo nazionale Trasporti per Roma: abbiamo la metà procapite di quello che prende Milano”.
Gli esponenti romani del Pd si dividono tra comitato per il No e comitato per il Sì, sembra che il partito faccia così con tutte le scelte importanti. Non disorientate gli elettori?
“Il Pd ha indetto un referendum interno che si terrà contemporaneamente ai congressi di circolo e che stabilirà la posizione ufficiale. È ovvio però che questa è una questione complessa e anche qualora il partito dovesse assumere una determinata posizione, ognuno farà come preferisce. È un dibattito che io credo ci debba essere in un grande partito di massa. Tra i democratici americani ci sono i pro-life e gli anticlericali incalliti, poi però si riesce a fare una sintesi della società”.
Sta dicendo che una posizione ufficiale se va bene arriverà dieci giorni prima del referendum e tutto sommato non sarà rilevante?
“Magari si sarebbe potuto fare prima, ma questa è la prima volta che si fa un referendum sui contenuti e non sulle persone. Non mi pare poco”.