“Siamo come le talpe”, dicono al Vaticano
Il vescovo in poltrona parla di Asia Bibi e di realpolitik: “Noi lavoriamo dove non ci vede nessuno”
La piccola suora, secca come un fuscello, era lì ad aspettarmi, davanti al palazzo, con l’ombrello aperto. “Sorella grazie, ma con questo diluvio poteva non disturbarsi”, le dico subito per ringraziarla della premura. “Per così poco, venga che Sua Eccellenza l’attende. Deve poi andare dal dentista”, risponde cortese. Il vescovo è sprofondato in una poltrona tappezzata di fiori, sul tavolino una lente d’ingrandimento che fa molto Ottocento. Glielo dico e ridacchia: “Almeno non devo accendere quattro lampade per capire cosa c’è scritto su un foglio”. Parliamo di Asia Bibi e gli metto sotto gli occhi qualche articolo trovato sul web in cui si lamenta l’inazione papale.
Perché il Papa non ha detto una parola sulla vicenda della donna condannata a morte per blasfemia, assolta dalla Corte suprema pachistana ma di fatto impossibilitata a lasciare il paese per le proteste dei fondamentalisti? “Perché avrebbe solo peggiorato le cose”, risponde l’eccellenza. “Si immagini cosa avrebbero fatto a quella povera cristiana se il vescovo di Roma, croce al petto, avesse preso le sue difese. Ma se li ricorda lei gli attacchi alle chiese d’Egitto quando Benedetto XVI anni fa espresse vicinanza per quanto capitato ai cristiani di laggiù? Meno il Vaticano parla di queste cose e meglio è, glielo dico per esperienza”. Ribatto che questa è politica sottilissima. “E’ buon senso, invece. Chi urla cosa ottiene? Noi siamo come le talpe, scaviamo e lavoriamo dove nessuno vede. Il risultato, alla fine, è lo stesso. Senza clamori, onori e trionfi”.