Il referendum su Atac è fallito, ecco quello che resta
Lunedì è deragliato il tram 19. I nuovi autobus forse arrivano tra un anno. E intanto l'azienda butta 2,1 milioni al giorno
Roma. Non poteva andare altrimenti visto come ci si è arrivati e con quanta pervicacia l’amministrazione di Virginia Raggi ha fatto tutto il possibile per rendere il referendum su Atac semiclandestino. Resta da capire come andrà adesso che il servizio di trasporto pubblico della capitale resterà fino al 2021 saldamente nelle mani di Atac cui la giunta grillina l’ha affidato direttamente, non senza le proteste dell’autorità nazionale Anticorruzione, per cercare di tenere in piedi il piano di concordato preventivo che dovrà guidare la municipalizzata fuori dalla palude prefallimentare del miliardo e mezzo di debiti.
Dopo il via libera del tribunale, il prossimo 19 dicembre toccherà ai 1.200 creditori esprimersi per accettare o meno le condizioni proposte dall’azienda per il rientro del debito con una prima rata pari al 31 per cento del totale da pagare entro il 2021 e il resto in obbligazioni Atac. Nel frattempo, ovviamente, non potranno presentare nessuna ingiunzione di pagamento dando dunque ad Atac il tempo necessario per realizzare il nuovo piano industriale e ristrutturarsi. Fra i creditori, ovviamente, c’è anche il comune di Roma che ha però deciso di mettersi in fondo alla lista e di riavere indietro i 450 milioni che gli spettano soltanto dopo la soddisfazione dell’intera platea. Un passaggio stretto, quello del voto dei creditori, che non dovrebbe però comportare eccessivi rischi per il futuro dell’azienda di trasporti. Il presente, invece, resta sempre complicato.
Lo sanno i cittadini che ogni giorno affrontano l’odissea su autobus e metropolitane che si guastano sempre più spesso, lunedì mattina è deragliato il tram 19 in via Ottaviano a due passi da Piazza San Pietro, e lo sanno i dirigenti Atac costretti a fare i salti mortali per mettere in strada una flotta tenuta su con i cerotti. Emblematico il caso degli autobus: Atac ne avrebbe in dotazione duemila circa ma è ormai consuetudine che la mattina ad uscire dalle riserve non siano più di 1.300 mezzi. Con un’età media di 13,5 anni (dati sul parco mezzi aggiornati al 31 dicembre 2017) i guasti sono infatti all’ordine del giorno e l’impossibilità di programmare una seppur minima manutenzione programmata ha reso istituzionalizzata l’emergenza. Tanto che persino i consulenti della procura di Roma, incaricati dai magistrati che indagano sugli autobus andati a fuoco nella capitale, hanno puntato il dito contro l’usura del tempo e l’inadeguatezza degli interventi manutentivi dovendo provare a spiegare il perché del ripetersi di simili episodi. Episodi in aumento, considerato che nei primi dieci mesi del 2018 ci sono stati 28 casi di flambus (come da fortunato hashtag satirico) contro i 22 dell’intero 2017.
“Stiamo salvando la più grande azienda pubblica d’Europa acquistando 600 nuovi autobus che saranno già disponibili nel 2019 al posto di quelli vecchi di 18 anni che ci hanno lasciato”, ripete come un mantra a ogni uscita pubblica la sindaca Virginia Raggi. Parole che però faticano a trovare corrispondenza nella realtà. La prima gara per l’acquisto di 320 autobus diesel, da acquistare nel 2018 per il 2019 è infatti andata deserta in estate mentre altri 227 dovrebbero essere acquistati attraverso Consip per 76 milioni di euro dalla Industria Italiana Autobus che ha già fornito la fidejussione necessaria. “Oltre ad Atac – esultava Raggi – un’altra impresa italiana, che versava in gravi difficoltà economiche, continuerà a dare stipendi ai propri dipendenti e ad avere la liquidità necessaria per nuovi investimenti”. A oggi, però, il contratto con la ex Irisbus non è stato ancora siglato e, nonostante la crisi aziendale sia da tempo sul tavolo del ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, il rischio di fallimento incombe sugli stabilimenti di Bologna e Flumeri in provincia di Avellino. Dove, dopo l’ennesimo rinvio dell’assemblea degli azionisti che avrebbe dovuto ricapitalizzare per garantire il pagamento degli stipendi che la IiA ha comunicato non di poter onorare, i lavoratori hanno già dichiarato una serie di scioperi.
Anche volendo sperare in una positiva soluzione della vertenza, però, pare certo che ci vorrà ancora tempo per avviare l’eventuale produzione di autobus per Atac e che le prime consegne non potranno che slittare al secondo semestre del 2019. Per questo, infatti, l’azienda si è già attivata per reperire sul mercato un centinaio di mezzi da prendere a noleggio con un costo, preventivato, di circa 2 o 3 milioni di euro all’anno. Un modo per frenare l’emorragia di chilometri, 18 milioni in meno rispetto a quanto previsto dal contratto di servizio nei primi sei mesi del 2018, che però rischia di gravare ulteriormente sui conti di una azienda in stato di dissesto che fin qua si è retta unicamente soltanto grazie alle abbondanti iniezioni di denaro pubblico.
“Negli ultimi 9 anni Atac è costata al contribuente circa 7 miliardi di euro tra sussidi e perdite”, denuncia infatti un report prodotto dall’Istituto Bruno Leoni condotto dall’economista Andrea Giuricin. Solo nell’ultimo biennio, si legge, “ogni giorno che passa la municipalizzata dei trasporti romana costa al contribuente circa 2,1 milioni di euro”.