La spiaggia sul Tevere metafora del degrado di Roma
"In due anni e mezzo è stata l'unica idea della Raggi". Ma Tiberis ormai è diventata una discarica
Roma. Che sia chiusa, in fondo ha una sua logica: è fine novembre, e pur sempre di una spiaggia, per quanto improbabile, si tratta. Se non fosse che però, digitando “Tiberis Roma Capitale” su Google, tra le prime pagine in cui s’imbatte c’è quella del Comune che non sembra ammettere dubbi: “L’area – vi si legge – è aperta tutti i giorni dalle 8:00 alle 20:00”. E infatti anche la signora che ci precede, col cane al guinzaglio e la bustina già pronta, resta perplessa a scrutare il cancello verde. Ne prova la maniglia, lo scuote, poi si volta e chiede a chi le passa accanto: “Ma non si può scendere?”. Per averne conferma però bisogna andare qualche decine di metri avanti, raggiungere l’entrata che s’affaccia su piazzale Edison: lì in effetti un cartello c’è, appeso alle inferriate con uno spago di quelli utilizzati nel giardinaggio: “In considerazione dell’approssimarsi della stagione invernale la spiaggia rimarrà aperta al pubblico sino a venerdì 26 ottobre 2018”.
Ma in fondo se si va poco oltre, fino all’ingresso, aperto, della Polisportiva Ostiense, e di lì si segue lo stradone, trovare il varco nella rete malridotta, proprio in corrispondenza delle scalette sconnesse che conducono all’imbarcadero. Il Tevere, rattrappitosi nel suo letto dopo le piogge degli scorsi giorni che lo avevano ingrossato, sonnecchia placido nel suo grigioverde un po’ squallido. E basta lasciarselo sulla propria sinistra, percorrere il sentiero ingombro di erbacce e di immondizia, per arrivare finalmente a Tiberis. La trovata mediatica di metà estate, quello slancio d’inventiva arrivato a illuminare un po’ il volto cupo di Virginia Raggi nel secondo anniversario della sua salita al Campidoglio. “Vogliamo che sia un luogo di incontro aperto ai cittadini, un luogo che viva al di là dei soli mesi estivi”, diceva la sindaca il 21 settembre.
E ora, a due mesi da quell’annuncio così altisonante, le uniche prove di ciò che questo luogo è stato, o sarebbe dovuto essere, le forniscono i segnali lasciati a terra, mezzi sgualciti, che ricordano le norme di comportamento e che indicano la direzione per i gabinetti. I container rimediati in tutta fretta, a inizio agosto, e posizionati con una certa malagrazia sullo spiazzo a fungere da spogliatoi e toilette, non ci sono più, resta però il loro profilo sull’erba, delle chiazze marroni sul verde del prato. E su quelle, oltre a delle pedane di legno già in parte marcite, i bidoni della spazzatura di plastica abbandonati, ancora pieni: alcuni ancora in piedi, sbilenchi, altri gettati a terra dal vento o dall’inerzia dell’autunno, e accanto a loro il cartello, pure quello in posizione orizzontale, con su scritto: “La differenziata non va mai in vacanza”.
Le fioriere utilizzate per abbellire il muraglione a mattoncini, stanno lì, con qualche rametto ischeletrito in precario equilibrio; ma altri vasi di plastica sono invece già rotolati giù, lungo l’argine, insieme a qualche lattina di Coca Cola. E i ciuffi d’erba che riemergono sopra lo strato di sabbia usata per i campi da beach volley sembrano una recrudescenza di selvatichezza di questo angolo di città che non si è lasciata recidere dagli slogan. “Hanno recintato diecimila metri quadrati e hanno provato a renderli aggraziati, ma tutt’intorno Roma è sempre Roma”, scrivemmo a metà agosto, quando venimmo ad affacciarci. E qualcuno, tra i consiglieri capitolini a cinque stelle, se ne risentì: “Sempre meglio che niente, no?”. Solo che il niente ora si è ripreso anche questo rettangolo di malinteso decoro urbano.
Le transenne che separavano la spiaggia dal resto sono state divelte: e attraversando una striscia di pantano, tra cucchiai anneriti e accendini che già devono aver prestato il loro servizio, si arriva sotto al ponte Marconi. E le bottiglie di birra lasciate a terra insieme a delle taniche d’acqua o di benzina, e i tappeti fagocitati per metà dal fradiciume, e la rete di un materasso abbandonata lì, insieme a un cuscino lordo, non si sa se testimoniano più d’una discarica che va riempendosi o di un riparo dismesso con l’arrivo del freddo.
Ed è qui che compare il volto scuro d’un uomo che avrà quarant’anni, e che è più intimorito che incuriosito dalla presenza estranea. Sembra essere sbucato dal nulla, e invece no: Stefan è appena uscito dalla sua roulotte, tenuta coperta da bandoni e lamiere. Viene da Craiova, ci dice, nel sud della Romania. “I miei figli sono ancora lì. Io qua lavoro”. Lavora? E come? “Eh”. La testa di Stefan gli sprofonda nelle spalle, e proprio in quel momento sua moglie lo raggiunge, con un carrello per la spesa malandato e un’asta di ferro ricurva, a mo’ di uncino. “Nei secchioni c’è un tesoro”, sorride lui, ma con una malizia dimessa.
“Qui prima c’era una città: ormai sono rimasti in pochi”, ci racconta Claudio Sisto, sommozzatore e fotografo che da oltre dieci anni, con la sua associazione di volontari, presidia questo spiazzo al di là del ponte Marconi, e monitora, dice lui, mostrando orgoglioso i suoi tatuaggi da marinaio, le sponde del Tevere. “Qui erano tutti rom, come Stefan. Di là stavano gli slavi”, spiega indicando dei baracconi di allumino seminascosti dai platani ingialliti, sull’erta che risale verso San Paolo. “La spiaggia? A me sembra l’unica cosa di buono che ha fatto la Raggi.
"Ma poteva essere l’inizio di un progetto di riqualificazione di questo lato dell’argine, magari per risistemare il tratto che da qui arriva fino al gazometro”. E invece? “E invece niente. Si son fermati lì, non hanno neppure pensato a dare continuità all’iniziativa”. Ci avete parlato? “Mah, sono strani ‘sti grillini: non comunicano. Con Marino c’era un minimo di dialogo: con loro è impossibile”. E insomma arrivata la fine di ottobre, alcuni operai hanno smantellato tutto e poi non s’è più visto nessuno. “Se ne riparla a giugno prossimo, magari, sempre ammesso che riaprirà ‘sta spiaggia”, dice Claudio, indicando un camion parcheggiato alle nostre spalle, accanto a un bobcat e a un container da cantiere.
“E’ la Terna che qui deve far passare un cavo elettrico, un progetto che riguarda questa sponda da Ostiense fino a Laurentina. Quindi mi sa tanto che l’estate prossima non potranno proprio riaprila, Tiberis”. S’intravede anche il grosso cancello verde che apre il cantiere, e che reimmette sulla parte di Lungotevere che costeggia la basilica papale. Sulla fanghiglia, i solchi ancora freschi lasciati dal carrello di Stefan e di sua moglie.