Papa Francesco tra Maduro e la libertà
Il Papa latinoamericano diffida di una rivoluzione benedetta da Washington. “È più forte di lui”
Mentre Papa Francesco è a Panama con i giovani, accetto l’invito del vescovo di curia per un gustoso tè pomeridiano. E’ esperto di diplomazia, parla lo spagnolo e quindi gli chiedo subito della posizione del Vaticano sul Venezuela. Gli faccio presente che i suoi colleghi vescovi di Caracas sono su tutte le furie per la posizione soft di Roma, che si sarebbero aspettati di più e che vedono nel low-profile della Santa Sede un ammiccare a Maduro. “Non è così, o almeno non è tutto così”, mi dice subito il monsignore mentre inzuppa un biscotto al cocco nel tè bollente. “Sa, se c’è un paese di cui si sa tutto in Segreteria di stato, questo è il Venezuela.
Il cardinale Parolin, segretario di stato, è stato nunzio laggiù per anni. Il sostituto, mons. Parra, è venezuelano. Il Papa conosce bene il quadro, tant’è che ha fatto cardinale mons. Porras mandandolo ad amministrare la diocesi della capitale lasciata libera dal cardinale Urosa Savino, pensionato con molta fretta per motivi d’età”. In che senso “con molta fretta”?. “Meno di un anno di proroga per un cardinale di una diocesi importante immersa in una pseudo guerra civile. I rapporti personali, in questo pontificato, contano molto”. Comunque sia, torniamo al Venezuela: “La Santa Sede ha tentato di mediare, anni fa. Non è vero che da sempre si è mantenuta fuori dalla contesa. Il problema è che fino a ieri non esisteva un’opposizione. O meglio, ne esistevano tante, tutte desiderose di schierare il Papa dalla propria parte. E se c’è una cosa che Francesco non vuole, è questa. E poi c’è il retroterra culturale che risulta fondamentale: Bergoglio diffida di tentativi di rivoluzione benedetti dagli Stati Uniti d’America. E’ più forte di lui. Questo non vuol dire essere chavista, ma insomma, di sicuro non è filo americano”.