Chiesa a pezzi
Il cardinale un tempo nemico di Pell ora sta dalla sua parte: “Da questa storia temo non ne usciremo mai”
Avevo fissato il pranzo con il cardinale da due settimane, e fino all’ultimo temevo che non se ne sarebbe fatto nulla considerati gli sviluppi dell’affaire Pell. Il pranzo si trasforma in un tè pomeridiano a casa del porporato, scosso per la condanna del confratello australiano: “Non sono tra i massimi estimatori della linea di Pell, lo si può ben dire. Ma non credo a una parola di quanto viene detto sul suo conto. Penso sia fango gettato non tanto sull’uomo bensì sulla chiesa in quanto istituzione. Non è una novità né una scoperta di queste ore, sia chiaro. L’Australia è da tempo terra ostile, l’abbiamo constatato in anni di accuse – molte sono mediatiche – processi e pure qualche assoluzione”. Domando al cardinale, che continua a toccarsi nervosamente la croce pettorale, se la dinamica rappresentata dall’accusa sia credibile. “Chiunque abbia fatto non dico il prete ma solo il chierichetto sa che in sacrestia c’è sempre qualcuno. Figuriamoci se a celebrare messa è il vescovo. E’ tutto surreale. Ma proprio da questo dolore deve emergere la spinta per ripartire con più forza”. Anche con più trasparenza? “E’ una parola complicata e ambigua, non so bene cosa significhi. La si applica un po’ a tutti gli ambiti, quindi il significato ne è sminuito. Trasparenza è mettere in carcere un cardinale dopo un verdetto di primo grado, per di più controverso? Non lo so, secondo me no”. Ne uscirete con le ossa rotte? Il cardinale mescola convulsamente lo zucchero nella tazza e dopo qualche secondo di silenzio risponde: “Ho paura che stavolta non ne usciremo proprio”.