George Pell verso l'appello
Il cardinale australiano è stato condannato a sei anni (ne rischiava cinquanta)
La Gran Sottana cede volentieri lo spazio, per questa settimana, al vaticanista di codesto giornale per dare conto della notizia del giorno sul fronte ecclesiale.
Il cardinale George Pell è stato condannato a sei anni di carcere per aver abusato di due coristi tredicenni nella sacrestia della cattedrale di Melbourne (Australia), nel 1996. Violenze avvenute con la porta aperta senza che nessuno se ne sia accorto. Sei anni di galera – potrà uscire su cauzione solo tra tre anni e otto mesi – quando ne rischiava cinquanta, dieci per ogni capo d’imputazione. Uno sconto notevole che sarà pure dettato da ragioni anagrafiche (il cardinale ha 77 anni), ma che induce a pensare che proprio tutto non sia così chiaro come sostiene la grancassa mediatica che ha assistito con la bava alla bocca alla lettura in diretta televisiva dell’evento (dicono per ragioni di “trasparenza”, nuovo dogma che mette d’accordo chiesa e mondo).
Il giudice ha definito “odiosi” i “crimini” commessi da Pell, il quale non è “un capro espiatorio della chiesa cattolica”, ma solo un abusatore di minori. Così almeno ha riconosciuto all’unanimità la giuria – la seconda, visto che la prima, chiamata lo scorso anno a deliberare sul medesimo fatto non riuscì a raggiungere un verdetto e per questo fu sciolta – composta da dodici semplici cittadini. Il magistrato ha riconosciuto però che qualche eccesso c’è stato, a cominciare dal “clima da caccia alle streghe”. Non un’osservazione da poco. Ora l’appello, sempre che a giugno la Corte decida di consentire al cardinale il ricorso (in regime di common law lo si può anche negare). Non sarà, quello di ieri, l’ultimo atto.