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Raggi presta i Musei Capitolini a Gucci. E rischia la rampogna di Montanari

Il sindaco di Roma fa l’unica cosa sensata della sua calamitosa sindacatura. Dove può e come può, la grillina accetta i denari delle aziende e dei mecenati per restauri e opere di conservazione

Roma. E adesso che i privati sponsorizzano, e addirittura utilizzano i musei del Comune per delle sfilate di moda – l’orrore, l’orrore – che dirà il ministro della “cultura” Alberto Bonisoli, l’uomo casualmente precipitato a governare i beni culturali d’Italia, quello che sta smontando a casaccio – e senza un’idea – la riforma Franceschini? E cosa dirà il suo sbrigliato intellettuale di riferimento Tomaso (con una m) Montanari, perennemente in preda a una crisi di nervi com’è? Che diranno le prefiche del benecomunismo, dello sciocchezzaio impaludato, dello statalismo un tanto al chilo, della musealizzazione in carta pecora? Che diranno i fratelli siamesi d’ogni speculatore edilizio e rapace imbruttitore di città (quelli bloccano ogni cosa anche quelle che funzionano, gli altri invece spacciano schifezze per modernità. E fratelli sono, cioè facce di un’unica e tragica medaglia all’amatriciana)? Che diranno?

 

Virginia Raggi, non si sa bene come e consigliata da chi, nella disperazione di un bilancio comunale in panne, tra debiti e casse vuote, fa l’unica cosa sensata (pare, ma non bisogna eccedere in ottimismo) della sua calamitosa sindacatura. Dove può e come può, la grillina – detta anche la passante del Campidoglio – accetta i denari delle aziende e dei mecenati per restauri e opere di conservazione, tanto che a fine maggio presterà anche i musei capitolini alla maison Gucci per una sfilata di moda (Gucci s’è impegnata a finanziare il restauro della porosa e cedevole Rupe Tarpea). E insomma anche nella città dove tutto sembra essere spinto dalla casualità più orrendamente inconsapevole, in un posto dove la cosiddetta “squadra decoro” cancella alla Garbatella per bestiale ignoranza una scritta storica del 1948 che aveva resistito alle amministrazioni di venti sindaci e a una decina di commissari, persino nella Roma dell’inadeguatezza a cinque stelle possono succedere (forse) delle cose normali. Ma c’è un ma. C’è un’incognita grande e ridondante come un Montanari.