Il domino politico nel Lazio dopo la candidatura alle Europee di Smeriglio
E’ la fine di un modello? Si dimette il vicepresidente della regione spinto dal Pd. Ma lui voleva restare
Roma. Bruxelles sembra lontana, ma non è così lontana dalla sede della Regione Lazio. La candidatura nella lista del Pd per le Europee di Massimiliano Smeriglio, vicepresidente di Nicola Zingaretti alla Pisana, infatti, con dimissioni annunciate dello stesso (annunciate perché la pressione del governatore e neosegretario pd va in quella direzione, pare infatti che Smeriglio volesse aspettare invece l’elezione a Bruxelles prima di dimettersi), danno il via non soltanto al piccolo valzer di poltrone interno (al posto di Smeriglio andrà Daniele Leodori, attuale presidente del Consiglio regionale. E al posto di Leodori Mauro Buschi, ora capogruppo del Pd in Regione, a sua volta sostituito da Marco Vincenzi). La corsa verso l’Europa dell’uomo che era definito, non a caso, “il braccio sinistro di Zingaretti” (Smeriglio proviene da Sel e con il mondo post Sel ha mantenuto ottimi rapporti), significa molto di più.
E’ intanto un segnale indiretto alla minoranza renziana nel Pd ora guidato da Zingaretti con l’ambizione del “campo largo”, minoranza che tallonava Zingaretti anche per via della linea “aperturista” di Smeriglio: ora si mette in lista Smeriglio, uno che pochi mesi fa, in un’intervista al Manifesto, ha fatto appello al popolo della sinistra extra-pd, parlando poi di “disgelo” verso i Cinque stelle, ma non senza dimissioni (cosa non sempre scontata in vista di una campagna elettorale in cui, come nel caso delle Europee, il candidato deve andarsi a cercare i voti preferenza per preferenza). E si porta di fatto al punto di rottura lo schema politico anche detto “modello Lazio”: quello che ha permesso a Zingaretti di vincere prima le Regionali del 2018 (in controtendenza rispetto al Pd nazionale, con differenza tra voto politico e voto regionale di quasi trecentomila voti), e poi, quest’anno, le primarie, con dote del mondo ex Sel e movimenti a sinistra del Pd. Tanto più è significativa la rottura dello schema se si considera il dualismo Zingaretti-Smeriglio rispetto ai Cinque stelle: è stato Smeriglio, nella primavera di un anno fa, a spiegare il patto (poi rotto) con l’ex avversaria di Zingaretti e pilastro della romanità a Cinque stelle Roberta Lombardi. Ed è stato Smeriglio a dire cose in qualche modo utili alla “causa”, ma che Zingaretti non poteva dire e che infatti smentiva di aver anche soltanto pensato, vedi suddetto “disgelo” verso il M5s nel momento in cui il governatore, anche candidato alla segreteria Pd, doveva invece mostrarsi lontanissimo dai gialli al governo (“ho detto fino alla noia che non ho alcuna intenzione di allearmi con il Movimento 5 Stelle”, era infatti il mantra zingarettiano). Ultimo ma non ultimo: con Zingaretti segretario di partito, il ruolo del nuovo vicepresidente (Leodori) sarà ancora meno formale che in epoca Smeriglio.