La destra romana è incapace di produrre leader, quindi li cerca fuori
Ecco perché Salvini è l’erede in termini tecnici di Berlusconi, il dominus del voto di opinione nazionale e capitolino
Gli elettori hanno la memoria corta e selettiva. È ormai cosa nota alle scienze cognitive, da parecchio tempo. Per dirne una: lo scontro dialettico Salvini-Raggi su Roma ha fatto “scoprire” che lo stato deve pagare 300 milioni l’anno – e Roma 200 – per azzerare il debito della Capitale. In realtà è così da dieci anni, in virtù di una legge del 2008 dell’allora governo Berlusconi, con l’avallo non scontato di Bossi (federalista e contro “Roma ladrona”). Quante cose sono cambiate da allora. E quante ne abbiamo dimenticate. In Italia così come nella sua capitale.
Ad esempio, la Lega nord (“Prima il nord”) per l’opinione pubblica non esiste più. E non è mai esistita, causa oblio selettivo. La destra nazionale (“Prima gli italiani”) esiste eccome, ma è cambiata completamente, nei protagonisti, nelle biografie, nei percorsi politici e nei partiti.
Ai tempi del “patto della pajata” tra Bossi e Alemanno, la destra romana era divisa in due, tra “territorio-identità” e “opinione-leader”, il primo caso rappresentato dal filone degli ex-An, il secondo da Forza Italia. Il mondo ex-An era fondamentalmente novecentesco, ancorato alle logiche dei partiti di massa: voto di appartenenza-identitario, partiti strutturati in correnti, politici di professione, “gavetta” interna a scandire la crescita nei ruoli e nelle responsabilità, forte radicamento nel territorio. Il mondo Forza Italia era più “contemporaneo”, per quei tempi avanguardista: voto di opinione leader-oriented, partito mediale-personale, mix tra politici di professione e outsider scelti dal capo, basso radicamento nel territorio.
Berlusconi è stato l’anticipatore di una dinamica psico-sociale prima che politica, e occidentale prima che italiana. Oggi la politica personalizzata e mediatizzata, tutta “istinti, istanti e immaginario” domina praticamente ovunque e ha spazzato via le logiche dei partiti di massa del secolo scorso. Roma non fa eccezione. Anzi, essendo la capitale ed essendo dunque sotto i riflettori dei media da sempre, il voto a Roma assume sempre più le caratteristiche di un voto di opinione nazionale.
Per queste ragioni, oggi è Salvini a porsi come anti-Raggi a Roma. E’ lui l’erede, in termini “tecnici”, di Berlusconi nel centro-destra, il dominus del voto di opinione nazionale e romano. E da lui dipende in gran parte la destra romana. Gli ex-An restano, defilati e minoritari, quasi tutti in Fratelli d’Italia; Forza Italia sopravvive, sempre più a fatica. Non è più il “nuovo” che avanza, è sempre più il vecchio che prova a resistere.
Nella capitale, come altrove, questa transizione produce numerosi effetti e diverse novità. In primis genera una nuova classe politica, talvolta anche con persone alla prima esperienza politica e/o amministrativa. In secondo luogo – nord-est a parte – si pone un problema di rapporti con gli stakeholder del territorio. Inoltre, sono cambiate le offerte politiche, sempre più schiacciate sulla tirannia dell’istante. Solo dieci anni fa, il mandato di Alemanno iniziava con questi obiettivi: piano di rientro dal debito, riforma di Roma Capitale, piano strategico di sviluppo della città, candidatura olimpica Roma 2020, holding delle società partecipate. Cinque macro-obiettivi complessi e di lungo periodo, che spesso chiamavano in causa anche governo e regione. Oggi, per dirla con Bauman, “il lungo periodo è un guscio vuoto” e di conseguenza la politica preferisce cavalcare singoli istanti “dimenticandosi” di programmare e di calcolare conseguenze a medio termine. Ma, purtroppo per noi, quelle conseguenze poi arrivano: le buche aumentano, la spazzatura anche, le stazioni metro chiudono, ecc. Mentre facciamo surf su un presente continuo tutto simboli, capri espiatori, soluzioni facili (a parole) e dosi di dopamina a rilascio costante, la realtà e la complessità continuano a fare il loro lavoro. Fino a quando le micro-gratificazioni psicologiche potranno sostituirsi alla potenza di questi problemi strutturali? E in che modo la “nuova destra” romana pensa di poter gestire quel “buco nero” trita-consenso e legittimità che è il Campidoglio senza affrontare i nodi di lungo periodo?