Papi nostri
Il vescovo gaudente per il ritorno di Benedetto XVI: “Parlano tutti e non può parlare lui? E perché?”
Martedì pomeriggio incontro l’arcivescovo a casa sua, non troppo distante dal colonnato del Bernini. “Beh, che le sembra?”, mi dice accogliendomi sulla soglia. Sorriso a quarantadue denti, occhi gaudenti come quelli d’un putto, agitato come se una scarica elettrica l’avesse attraversato dalla testa ai piedi. Oggetto del conversare, il testo di Benedetto XVI sulla pedofilia nella chiesa, il 1968, la crisi che ne è seguita. L’ospite, mentre beve il caffè che la suora pugliese ha portato nello studiolo – “Sono di Manfredonia”, dice orgogliosa –, dice che quello scritto è un punto di non ritorno. “Praticamente si è fissato il principio che il Papa emerito può intervenire quando vuole e su qualunque tema, anche quelli che hanno a che fare con vertici delicatissimi convocati dal Papa in carica. Soprattutto, si è stabilito che può anche prendere una strada opposta a quella del suo successore, il che pone parecchi problemi”. E lei è d’accordo con questa deriva?, gli domando. “Il cardinale Müller ha giustamente ricordato che Pietro e Paolo, quando hanno capito che Timoteo e Tito erano persone perbene, non hanno detto: ‘Adesso ci sono altri successori lasciamo parlare loro pubblicamente’. Hanno testimoniato la verità fino alla fine. Per cui non capisco il motivo per cui un Papa emerito, che non governa e non decide nulla, non possa parlare, intervenire, offrire la sua saggezza per il bene della chiesa. Possono parlare tutti e non il Papa emerito? E per quale motivo?”. Ma non crede si crei confusione in un tempo in cui ce n’è fin troppa? “Non vedo alcuna confusione, è tutto così estremamente chiaro…”.