Salvare il Salva-Roma
La norma sospesa nel Purgatorio pre-elettorale (e sorvegliata da occhi trasversali)
Roma. Neanche un mese fa, il 24 aprile, la distanza tra i due alleati nel governo gialloverde, già sull’orlo della crisi, si era resa improvvisamente visibile per vie traverse, e cioè attraverso le parole del governatore del Lazio e neo segretario del Pd Nicola Zingaretti: “In Italia non c’è più un governo”. Era successo che la norma cosiddetta “Salva-Roma”, contenuta nel Decreto crescita, era stata approvata soltanto a metà, con stralcio di alcune norme e con il vicepremier Matteo Salvini fermo sulla linea del “non ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B” (e quindi, questo era il senso, non c’è neanche una norma fatta apposta per sanare i debiti di Roma e aiutare il sindaco Virginia Raggi). Mentre l’altro vicepremier Luigi Di Maio, sospeso tra il reale e il surreale, diceva che il decreto non era stato ancora discusso. La confusione aveva poi portato al ribaltamento del testo di partenza, a cui il Campidoglio aveva lavorato (tra gli altri) con il sottosegretario grillino all’Economia Laura Castelli: ed era un testo che prevedeva, per la fine del 2021, la chiusura della gestione commissariale in capo al governo (12 miliardi di euro di debiti), e il trasferimento di una parte della passività, con “accollo” allo Stato e rimodulazione di alcuni alcuni prestiti.
Ma, dopo lo stralcio di alcuni commi dalla norma, commi riguardanti proprio il trasferimento del debito (con soddisfazione della Lega), il Salva-Roma veniva messo nell’angolo dei provvedimenti sospesi nel Purgatorio della campagna elettorale, da un lato rimossi, dall’altro tirati fuori anche a sproposito come arma di pressione. E mercoledì 15 maggio, nel giorno in cui scadeva il tempo per presentare eventuali emendamenti al decreto, il salva Roma si ripresentava di nuovo “a mezzo Zingaretti”: il Pd è disponibile a parlare nel merito e “vedrà il testo in Parlamento senza alcuna preclusione”, diceva il governatore (che già nei giorni precedenti aveva dato segnali di disponibilità). Ma non soltanto a sinistra c’è voglia di “parlare nel merito”: il leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni si è da tempo espressa in direzione del riconoscimento di Roma come Capitale “con risorse e poteri adeguati”, mentre Silvio Berlusconi ha criticato la posizione leghista in nome del “Roma va aiutata”. Ma se questi indizi sembrano puntare verso una possibile futura alleanza trasversale in Parlamento, con dialogo sinistra-Cinque stelle e Cinque stelle-centrodestra (extra Lega), la fine della campagna elettorale per le europee, con tutto il contorno di non amichevoli commenti incrociati, potrebbe anche produrre l’effetto contrario: un ammorbidimento della Lega e magari l’astensione, anche in vista dell’ambizione futura: mettersi direttamente al governo della Capitale.