Cosa c'è dietro al boom dell'export laziale: +21 per cento nel 2019
Zingaretti fa trionfalismo con un successo che le aziende ottengono malgrado lo stato. Il traino del farmaceutico
Roma. “Il Lazio è ormai una locomotiva per il paese”. Detta così fa ridere. In realtà, però, nelle parole con cui il presidente della Regione Nicola Zingaretti ha festeggiato i dati pubblicati dall’Istat sulle esportazioni laziali nel primo trimestre 2019 c’è del vero. Almeno qualcosa. Certo il dato aiuta Zingaretti, ormai segretario del Pd, a fare opposizione: con il governo gialloverde la produzione industriale nazionale crolla, con i dem in Regione il Lazio esporta come non mai. Una locomotiva, dicevamo. La realtà però è molto più complessa di così.
Nei primi tre mesi del 2019 l’export laziale è cresciuto del 21 per cento, trainato dal boom del 49,5 per cento del settore chimico farmaceutico. La crescita media italiana è stata del 2 per cento. In valori assoluti significa che le esportazioni laziali hanno raggiunto quota 6 miliardi 577 milioni, con un aumento di 1,1 miliardi di euro rispetto ai primi 3 mesi del 2018.
La crescita dell’esportazioni non è una novità. Ma a cosa è dovuta una volata in avanti così vigorosa? “Ci sono due ragioni di fondo”, spiega Matteo Caroli, docente di Gestione delle imprese internazionali alla Luiss. “Per prima cosa il Lazio ha molto spazio di crescita perché il rapporto tra le esportazioni e il pil regionale è ancora piuttosto basso”. E infatti se il Lazio produce l’11 per cento del Pil nazionale, la quota sulle esportazione con questi ultimi dati arriva solo al 5,7 per cento”. “Come Regione puntiamo ad aiutare le imprese a colmare questo gap e a diventare la seconda Regione di Italia anche per l’export”, dice al Foglio l’assessore regionale allo Sviluppo economico Gian Paolo Manzella.
Per adesso la Regione ha messo in campo una strategia duplice per favorire l’internazionalizzazione delle imprese laziali: “Da una parte – racconta Manzella – abbiamo istituito il Consiglio delle imprese internazionali, dove ascoltiamo preoccupazioni e suggerimenti delle multinazionali. Dall’altra abbiamo varato un piano da 15 milioni che serviranno alle piccole imprese ad acquistare servizi per l'internazionalizzazione: assumere un export manager, partecipare alle fiere internazionali, ecc”. Una strategia apprezzata anche dalle grandi imprese. “Il tavolo è stato un ottimo strumento”, ci dice Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria – associazione di categoria dei produttori di farmaci – e ad di Janssen Italia, azienda del farmaceutico che fa parte del mega gruppo americano Johson & Johnson e, a Borgo San Michele, provincia di Latina, produce 110 milioni di confenzioni di farmaci l’anno. “Il 90 per cento della produzione va all’estero, in oltre 100 paesi”, sottolinea. L’azienda può continuare a farlo anche grazie all’innovazione. “Tra poco – annuncia Scaccabarozzi – lanceremo la nuova modalità produttiva in continuo 4.0. Un’anteprima assoluta a livello mondiale che mette insieme tutte le fasi della produzione: in questo modo aumenteremo moltissimo la produttività e rimarremo competitivi anche rispetto a paesi dove il costo del lavoro è più basso”.
Innovazione e internazionalizzazione insomma sono i fattori X che hanno fatto del farmaceutico – con i poli di Latina e Pomezia, dove operano oltre 60 aziende – il traino dell’export.
“La seconda ragione della crescita in regione è la forza del farmaceutico”, spiega il professor Caroli. L’Italia produce ormai quasi 32 miliardi l’anno di farmaci. Da poco il nostro Paese è diventato il primo produttore europeo, scavalcando la Germania. I dati dicono che la produzione laziale vale il 44 per cento del totale. Nel settore lavorano in Lazio 16mila addetti. “Negli ultimi anni mentre il resto della manifattura aveva il segno meno, noi crescevano del 24 per cento, una crescita dovuta al 100 per cento alle esportazioni”, dice Scaccabarozzi. “Se tutto il sistema industriale fosse stato farmaceutico, la crisi non ci sfiorava neppure”. Internazionalizzazione che significa anche presenza di gruppi internazionali. “La presenza di multinazionali nel farmaceutico è molto significativa: è la dimostrazione che la capacità di attrarre sul proprio territorio investimenti produttivi dall’estero diventa un volano per la crescita e anche per l'export”, spiega Caroli. Che è convinto che quello che sta accadendo nel farmaceutico laziale, sia un po’ la chiave per superare le difficoltà italiane. “Oggi il nostro problema continua ad essere quello di una domanda interna debole che viene compensata solo in parte dall'export. Senza, la diminuzione della produzione industriale sarebbe ancora inferiore. Qualsiasi strategia che appoggi politiche protezionistiche è un suicidio per il nostro paese. Lo dicono i dati”.