Raggi punta tutto su Conte: poteri speciali a Roma
La sindaca chiede una commissione di saggi, ma ci avevano provato anche Alemanno e Polverini. Parla il prof. Caravita
Roma. Virginia Raggi, tornata dalla ferie, ha intrapreso una nuova battaglia. Per una volta davvero importante: poteri speciali per Roma. Più funzioni e più risorse per la Capitale, come a Parigi, a Berlino, a Londra e nelle altre gradi metropoli del globo. Appena iniziata la crisi di governo la sindaca ha puntato tutte le sue fiches su quello che poi si è rivelato il cavallo giusto: Giuseppe Conte. “Noi siamo molto vicini a Conte, è lui (e non Di Maio ndr) il nostro riferimento al governo”, facevano sapere ai cronisti dall’entourage della sindaca nei primi convulsi giorni della crisi agostana. E adesso in Campidoglio intendono passare all’incasso. Parlando alla Camera il giorno della fiducia Conte ha dedicato un passaggio alla città: “Lo statuto di Roma Capitale dovrà essere profondamene riformato, perché sia più aderente al ruolo che la città riveste, anche in quanto sede delle massime istituzioni della Repubblica”. In pochi attimi, via social, la Raggi ha espresso la sua felicità: “Roma avrà finalmente strumenti e poteri adeguati al ruolo di Capitale d’Italia. Grazie al Presidente del Conte”.
Bene dunque, più poteri, ma quali? E in che modo potrebbe tradursi in realtà questa dichiarazione d’intenti? Dal Pd pensavano di “commissariare” la sindaca affidando il dossier al ministro per gli Affari regionali, il dem Francesco Boccia. La Raggi però non ha alcuna intenzione di essere scavalcata. “Sarebbe fondamentale riuscire a individuare un tavolo di giuristi, di costituzionalisti, che non sia targato politicamente, perché è una riforma che deve essere fatta nell’interesse dell’Italia. Nessuno faccia giochi per un eventuale tornaconto”, ha detto ieri a margine di un’iniziativa.
Non sarebbe la prima volta per un gruppo di “saggi” seduti in Campidoglio per pensare i destini della Capitale. Era accaduto già nel triennio targato centrodestra che va dal 2008 al 2011. A palazzo Senatorio sedeva Gianni Alemanno, la presidente della Regione Lazio era Renata Polverini e per conto del governo si occupava della questione l’allora ministro alla Semplificazione Roberto Calderoli. Il lavoro tecnico fu affidato a una commissione di giuristi di massimo livello presieduta da Enzo Cheli. Ne faceva parte Beniamino Caravita, professore ordinario di diritto pubblico all’università La Sapienza. “Il tema di uno statuto speciale per Roma Capitale – spiega al Foglio – attraversa il dibattito politico da sempre: il fascismo introdusse la figura del governatore speciale per Roma e, per evitare di tornare su quell’istituto, in Costituzione si evitò il tema della Capitale”. “Tanto tempo dopo – racconta il professore – con la riforma costituzionale del 2001 fu introdotta la l’articolo 114 che prevede la possibilità di disciplinare l’ordinamento di Roma Capitale con una legge dello Stato. Purtroppo però fino ad oggi non se n’è fatto nulla, se non interventi spot di finanziamento: dal Giubileo al ripiano dei debiti”. Caravita svela come nel 2009 si bloccò tutto: “Il federalismo fiscale aveva introdotto un articolo che prevedeva la possibilità con decreti delegati di dare poteri particolari a Roma e si era andati molto avanti: furono preparati dei testi chiamati Turc, testo unico per Roma Capitale, che individuavano funzioni che Stato e Regione potevano delegare a Roma Capitale. La cosa però si fermò sul mancato accordo tra comune e Regione”. Polverini e Alemanno non trovarono una quadra. “La tesi della Regione – rivela il professore – era che un decreto legislativo non potesse attribuire funzioni regionali al Comune”.
Da dove ripartire dunque oggi? Secondo Caravita ci sono diverse possibilità, ma solo una è davvero percorribile. La più prospettata in questi primi giorni di settembre, “Roma città Regione”, è per il docente della Sapienza “difficilmente praticabile”. “Il Lazio – spiega – scomparirebbe e sarebbe necessario ripensare l’assetto territoriale regionale”. Inoltre da tutta Italia si alzerebbe un coro di istanze simili. Dice Caravita: “Se Roma diventa città Regione vorrebbe senz’altro esserlo anche Milano, mentre il Veneto pretenderà lo statuto speciale”. Meglio dunque ripartire da dove si era rimasti nel 2009: il trasferimento di funzioni e risorse a Roma attraverso uno o più decreti legislativi. “Il nocciolo di partenza delle competenze da trasferire – dice il professore – dovrebbe essere composto da Urbanistica, Turismo, Beni culturali e Commercio”.
Questa volta mettendo d’accordo tutti. Senza diventare una Regione, potrebbe obiettare qualcuno, però Roma non potrà legiferare. “No – spiega Caravita – Roma potrebbe avere una funzione regolamentare potenziata con delibere che nelle materie previste potranno derogare alle leggi”. Per facilitare il percorso politico per Caravita c’è una via rischiosa, ma suggestiva: “Legare questa riforma a quella per il regionalismo differenziato che sino ad oggi ha operato su dei binari sbagliati con accordi tra governo e Regioni: si potrebbe pensare invece a una riforma con l’intento di attuare entrambi gli articoli: il 116 (regionalismo differenziato ndr) e il 114 (Roma Capitale ndr)”.
Negli ultimi giorni è sembrato che il primo passo del governo potrebbe essere quello di riconoscere a Roma gli extracosti che sostiene come Capitale: “E’ giusto – spiega Caravita – Roma svolge una serie di funzioni tipiche della Capitale, a Roma ci sono ambasciate presso quattro soggetti – l’Italia, il Vaticano, la Fao e il sovrano ordine militare di Malta – è la sede di tutte le istituzioni statali centrali ed quella privilegiata delle manifestazioni di protesta, ma sarebbe meglio che anche questa partita fosse inserita in una riforma più generale”.
Per il professore, in realtà, il tema della Capitale s’inserisce in uno scenario ben più vasto di ripensamento geografico e funzionale degli enti locali. “In Italia bisognerebbe ripensare l’intero assetto territoriale, ma in questo caso sarebbe tutto un altro discorso, i temi sono enormi: congruità delle attuali Regioni, individuazione e funzioni degli enti intermedi, riduzione dei comuni e il ruolo ancora non chiaro delle città metropolitane”. “A me – conclude Caravita – piacerebbe aprire una riflessione del genere, ma intanto forse, è più semplice partire da Roma”.