Surreale ma vero. I dipendenti comunali si ribellano alla posta Pec
L’incredibile protesta degli uffici del comune che non vogliono smettere di usare il fax. Fermi agli anni Novanta
Roma. Una delibera comunale che in qualsiasi altra città sarebbe stata accolta ed accettata come un regolare tentativo di adeguarsi ai tempi, a Roma trova invece dure resistenze e difficoltà ad essere applicata. Qualcuno dirà che è colpa dell’eccessivo potere dei sindacati, mentre per qualcun altro la colpa è della maniera sbrigativa ed imperfetta del Comune di far valere le proprie decisioni, ma è un dato di fatto che nella Capitale tutto ciò che nel resto d’Italia è considerato abbastanza normale diventa invece complicato, confuso ed inapplicabile. La delibera in questione ha l’ardire di chiedere che, nel 2019, negli uffici pubblici romani si abbandoni il fax in favore della posta elettronica certificata, ossia un software che protocolla in automatico i documenti che passano da un ufficio all’altro, permettendo agli uffici di risparmiare tempo e carta.
Già nel 2013 il “Decreto Fare” del governo Letta imponeva alle Pubbliche Amministrazioni di comunicare tra di loro esclusivamente attraverso la Posta elettronica certificata e, in un recente articolo, l’Agi ha analizzato, a distanza di 5 anni da quel decreto, a che punto fosse la “conversione”: in Veneto, Emilia, Abruzzo, Lombardia, Toscana, Umbria, Marche e Sardegna il fax è stato quasi del tutto abbandonato, così come in Molise ad eccezione di qualche piccolo comune. E il sindaco di Pescara, Marco Alessandrini, rivendica addirittura come nel 2013, al momento dell’approvazione del Decreto, il fax fosse già stato abbandonato per ragioni di efficienza e non per ordine di qualcuno.
Ma Roma è una città a parte: quando la delibera comunale ha cercato di far rispettare ai dipendenti degli uffici ciò che era già stabilito nel Decreto del 2013, i sindacati relativi ai dipendenti pubblici romani hanno protestato contro una decisione che avrebbe “penalizzato i dipendenti disabili e quelli anziani”. Marco d’Emilia, responsabile della struttura della Cgil che si occupa di funzione pubblica a Roma, dopo aver consultato sul tema molti dipendenti pubblici provenienti da tutti i municipi e da diversi uffici, ci ha spiegato meglio il problema: a quanto pare a essere mal disposti verso questa delibera sarebbero per lo più i dipendenti degli uffici aperti ventiquattr’ore su ventiquattro, siccome ad essere abilitato alla Pec è solo un ufficio protocolli, che avendo un orario di chiusura, non lascia altra scelta che quella di usare il fax. La soluzione sarebbe allora quella di allargare l’abilitazione a tutti i dipendenti dei vari uffici, ma d’Emilia spiega che si incorrerebbe in alcuni problemi relativi ai documenti riservati che, dal momento che la Pec non è una casella di mail personale ma collettiva, sarebbero visibili a tutti. Ragion per cui il fax rimane, a quanto si sostiene nei municipi consultati, uno strumento di inevitabile necessità.
Una dipendente del Municipio settimo, però, ci racconta un quadro diverso: “L’ufficio protocolli è l’unico che ha ancora il fax, mentre tutti gli altri uffici usano da anni la Pec. Ogni dipendente può inviare all’ufficio protocolli un documento in formato Pec e da lì viene poi spedito nelle comunicazioni tra i diversi municipi e uffici. E il presidente del Municipio qualche tempo fa aveva chiesto che alcuni dipendenti imparassero ad usare la Pec proprio per far sì che negli uffici qualcuno fosse sempre pronto a spedire documenti importanti e che non potevano aspettare la riapertura dell’ufficio protocolli. Certo, se chi si mette a disposizione per imparare a usare la Pec fosse premiato con un incentivo anche piccolo, forse la transizione sarebbe più facile”.
E il sospetto è che il problema sia tutto qui: l’unico modo per abbandonare il fax e passare alla Pec è che i dipendenti pubblici imparino a usare uno strumento nuovo che spezza una routine ed un modus operandi che durano da decenni e che molti, senza un incentivo, potrebbero essere poco inclini ad abbandonare. Mentre nel resto d’Italia la conversione è avvenuta senza grandi polemiche, a Roma ancora quando si cerca di rendere più veloce la burocrazia si incontrano questo genere di resistenze che ci rendono una città che va inevitabilmente più lenta delle altre e in cui tutto è più difficile. E forse sono anche queste piccole cose a determinare la scarsa competitività della nostra città nel panorama europeo, come pure in quello nazionale.