235 librerie perse in dieci anni, niente edicole, morti i negozi di dischi
Va bene il progresso, Ok è il mercato… ma la città così è un deserto. Parlano Umberto Croppi e Fulvio Abbate
Roma. Ormai non fa neanche più notizia. La chiusura di un altro paio di librerie in città (tra cui la Feltrinelli International, una delle poche ad avere libri in lingua originale) ci passa sopra la testa come le previsioni meteo. Domani farà più freddo, ci si mette la giacca più pesante, guanti e cappello, e non ci si pensa più. E invece ogni libreria che chiude lascia una ferita che ci mette molto tempo a rimarginarsi. Ancora oggi, chi passa in quel preciso punto di Trastevere (via dei Fienaroli) dove un tempo c’era Bibli ricorda ancora gli aperitivi passati a chiacchierare con qualche amico e a sfogliare libri prima di tornare a casa. Per non parlare della storica Libreria Croce a Corso Vittorio, deceduta nel 2011. Ma la mattanza è mensile. Quest’autunno ha fatto scalpore la chiusura della Libreria del Viaggiatore, a Via del Pellegrino, per anni uno dei punti di riferimento per chi ama viaggiare, anche solo con la fantasia. Lì potevi incontrare lo studente intento a decidere dove trascorrere l’anno sabbatico tra la fine del liceo e l’inizio dell’università, l’inviato di guerra a prendere informazioni su un paese prima della partenza o la coppia impegnata a decidere dove trascorrere le prossime vacanze. Poi ci si mette pure la cronaca nera, visto che la Pecore Elettrica, data alle fiamme a Centocelle, ancora non ha riaperto.
I numeri parlano chiaro: in dieci anni, dal 2007 al 2017, in città hanno chiuso 223 librerie. Altre 12 sono sparite nel 2018. E l’inizio di quest’anno non promette nulla di buono. Le cause, naturalmente, sono diverse. C’è Amazon, visto che un libro su cinque si compra on-line. Poi ci sono gli e book, che però registrano una frenata: 51.937 quelli pubblicati nel 2018 contro i circa 81 mila del 2016. Ci sono i grandi gruppi, vero spauracchio dei piccoli negozi. Ma alla base di tutto c’è un’Italia che non legge. “Basta entrare nella casa di un qualsiasi francese di borghesia medio-piccola e ci sarà una parete piena di libri. Nel salotto dell’italiano medio c’è invece una mensola con alcune suppellettili di pessimo gusto dove fanno capolino un paio di libri, Bruno Vespa e Fabio Volo. Se invece siamo a casa di un intellettuale, ci saranno pure Il Colibrì di Sandro Veronesi e Assassinio a Villa Borghese di Walter Veltroni…”, dice Fulvio Abbate, scrittore. Cui sovviene una vecchia battuta. “Vuoi regalarmi un libro? Ma no, ne ho già uno. Meglio una sciarpa…”.
Cosa si può fare per fermare il declino (copyright Zingales & Giannino) o, addirittura, invertire la tendenza? “Nulla”, risponde senza lasciare speranza Umberto Croppi, ex editore e assessore alla Cultura nella giunta di Gianni Alemanno, oggi presidente della quadriennale d’arte di Roma. “A subire il fascino del libro cartaceo e delle vecchie librerie ci sono solo quelli sopra i cinquant’anni. Per il resto si compra on line. Sotto i 40, per intenderci, nessuno compra più un giornale o un quotidiano…”, aggiunge Croppi. Quella delle edicole è un’altra ecatombe, in città e nel Paese: erano 15.867 nel 2017, sono 15.126 nel 2018, meno 741. Qualcuno cerca di invertire la rotta, come l’edicola letteraria a Borgo Pio, o vendendo gadget e giocattoli. Ma è dura. Qui entra in gioco l’informazione on line rispetto alla carta stampata ed è tutto un altro discorso. Si stanno riprendendo, invece, grazie al grande ritorno al vinile, i negozi di dischi, soprattutto vintage.
Per le librerie però, secondo Croppi, c’è un’aggravante. Mentre i fondi alla cultura, pur sempre meno, danno una mano al cinema e al teatro, ai librai non ci pensa nessuno. “I piccoli librai sono degli eroi civili, quando sono in difficoltà non sanno nemmeno a quale porta bussare e le banche, che buttano soldi ovunque, non gli fanno nemmeno credito. L’unica cosa che la politica può fare è agire sull’offerta, stimolare la curiosità verso la cultura. In tal senso il bonus di 500 euro di Franceschini per i 18enni è una buona idea. Il Campidoglio, invece, può fare interventi mirati e strutturali. Per esempio, partecipare al finanziamento di manifestazioni culturali e letterarie (Più libri più liberi, ecc.). Garantire vantaggi fiscali alle botteghe storiche. O facilitare l’apertura di piccoli bistrot”, aggiunge Croppi. I caffè letterari di una volta, dunque. “Il libraio è come la prostituta di riferimento, deve capire i tuoi gusti e anticiparli. Il mio preferito era Ettore, alla Feltrinelli di Via del Babuino, dove c’era anche il mitico Carlo Conticelli, spedito a Roma dallo stesso Giangiacomo. Quando mi chiamano a presentare i miei libri nelle librerie di quartiere vado sempre molto volentieri. A Cinecittà, per esempio, ce n’è una deliziosa, si chiama Risvolti. Poi, purtroppo, si paga anche il fatto che il mercato letterario sia una corsa drogata, dove si sa già prima chi deve vincere…”, sottolinea Fulvio Abbate.
Fa comunque strano che ormai ci siano interi quartieri, quadranti o rioni senza libri. Qualche anno fa ha chiuso la libreria Fanucci davanti al Senato (stessa cosa a Vigna Clara), da un paio d’anni non c’è più nemmeno l’Arion di fronte a Montecitorio. E se nemmeno la classe politica del Paese acquista libri, perché mai dovrebbe farlo il comune cittadino?