Tampone Campidoglio
Scene di politica romana ai tempi del virus. E la sindaca chiude le macchinette mangiaplastica
Roma. “E’ importante rimanere tutti a distanza di un metro, mica si può fare così…”. L’ultima seduta dell’Assemblea capitolina era cominciata con la reprimenda del presidente Marcello De Vito ai colleghi seduti uno accanto all’altro come quando nessuno sapeva cosa fosse il coronavirus. Cinque minuti per riorganizzare l’Aula in base alle disposizioni del governo. Finalmente, tutti distanti. All’ingresso a palazzo Senatorio, come alla buvette dell’Aula Giulio Cesare, i grandi flaconi di gel disinfettante ricordano tempi e luoghi: Roma nei giorni del virus che viene dalla Cina.
La Regione Lazio – dopo l’esito positivo del tampone eseguito alcuni giorni fa sul governatore Nicola Zingaretti – ha chiuso tutti i suoi uffici, che riapriranno, forse, lunedì. In Campidoglio, invece, si continua a lavorare. La sindaca partecipa in teleconferenza alle riunioni dell’Anci. Con la stessa modalità telematica sente anche il suo capostaff Max Bugani, da giorni in autoquarantena a Bologna. E Raggi, borbottano alcuni dipendenti del palazzo storcendo il naso, lo ha fatto il tampone? No, ma non c’è rischio, rassicurano dal suo staff. Il palazzo intanto si chiude anche ai giornalisti e ai dipendenti di altri uffici: il consiglio straordinario di venerdì sull’emergenza sarà interdetto a tutti. Alle riunioni di giunta, queste fisiche nell’ampia sala delle Bandiere, tutti parlano a distanza di un metro. E i dipendenti? Nonostante lo sforzo di serietà e l’indolenza che brama l’interruzione del lavoro, tra i corridoi di palazzo Senatorio e negli uffici, l’umorismo sornione e romanesco impedisce di prendere sul serio la questione. O meglio, permette di riderci su. “Ce la faremo – scherzano alcuni vigili bevendo il caffè – intanto ‘Ciaociao’ scudetto alla Lazio”.
Molti dipendenti, comunque, da alcuni giorni sono in telelavoro. In un primo momento la possibilità era stata data solo alle categorie a rischio, ma due giorni fa è stata estesa a tutto il personale. Adesso, sono circa 4 mila gli amministrativi che lavorano da casa. Nei municipi però, molti dipendenti si lamentano. “Da noi stanno ancora raccogliendo le domande, nessuno pulisce più gli uffici e altro che distanze di un metro…”. Inoltre, dicono , più che il lavoro agile si propone l’utilizzo delle ferie arretrate (che comunque andrebbero consumate entro il 30 aprile) o l’ipotesi più improbabile di tutte (pur prevista da una circolare di Roma Capitale): il turno di 12 ore. Tre giorni a settimana di lavoro, molto intesi però. “E’ come se ci fossero trattamenti differenziati tra gli uffici centrali e i municipi”, spiega Giancarlo Cosentino, responsabile della Funzione pubblica della Cisl Roma.
Ieri, intanto, il coronavirus ha bloccato anche uno dei “più grandi successi” della giunta Raggi: per evitare assembramenti le famigerate macchine mangiaplastica disposte in alcune stazioni della metro sono state spente.