La caccia a Pell
Ripartono le indagini sul cardinale appena assolto. Il Vaticano dovrebbe dire una parola chiara
Giusto il tempo di festeggiare la Pasqua, ed ecco che le indagini sul cardinale George Pell ripartono. Assolto da ogni colpa una settimana fa, con una sentenza storica emessa dall’Alta corte australiana che ha ribaltato (all’unanimità) il verdetto di primo e secondo grado, la caccia continua. I tabloid locali, seguiti poi dal più autorevole Guardian, hanno scritto che è di nuovo sotto inchiesta: qualcuno si è fatto avanti – solo ora, guarda un po’ la coincidenza – denunciando abusi risalenti agli anni Settanta. Di più non è dato sapere. Né è detto che l’indagine porti da qualche parte. Dopotutto, come ha ribadito il giornalista Andrew Bolt, che cattolico non è ma da sempre sostiene – contro il giustizialismo che pervade stampa e opinione pubblica australiana – che Pell è l’agnello sacrificale, lo scalpo che si vuole ottenere per ottenere una sorta di vittoria morale sulla chiesa e i suoi misfatti del passato, sono decine e decine le indagini aperte sul conto del cardinale. Solo una, quella appena chiusa davanti all’Alta corte, è finita in tribunale. Il resto, chiacchiere da mitomani o persone in cerca di gloria e notorietà che al di là di un po’ di risonanza sui giornali, sono subito state archiviate. Si è parlato di caccia alle streghe, di caccia all’uomo, di novello Dreyfus. Tutto vero, ma è forse venuto il momento che le alte gerarchie vaticane dicano qualcosa in modo chiaro. La tara dei crimini commessi in passato pesa, e parecchio. Ma ribadire l’orrore per quei fatti non nega la possibilità di denunciare quel che è accaduto a un innocente finito in galera per 400 giorni senza poter celebrare la messa.