Azzurro Scipioni, la sala cinema d'essay che non ha chiuso per Covid

Gianluca Roselli

Parlando con Silvano Agosti, che lo gestisce da oltre 40 anni, hai quasi l'impressione che un mondo ideale sarebbe possibile

Roma. La sensazione, dopo un po’ che si parla con Silvano Agosti, è che davvero forse un mondo ideale sarebbe possibile. Un posto, spiega il regista, “dove lo stato dovrebbe dare una casa e del cibo a tutti, in modo che gli esseri umani possano dedicarsi all’unica cosa importante e unica: la loro vita. Basterebbe una parte dei soldi che si dedicano alle spese militari…”. Mentre la maggior parte dei cinema di Roma sono ancora chiusi, la sua sala, l’Azzurro Scipioni (via degli Scipioni 82, tel. 06 39737161), nel quartiere Prati, ha riaperto appena è stato possibile, subito dopo il 15 giugno. Se non ci siete mai stati, vi siete persi qualcosa. L’Azzurro è uno dei pochissimi cinema d’essai rimasti nella Capitale, curato nei minimi dettagli da Agosti, che l’ha aperto una quarantina d’anni fa. Qui si proiettano solo i grandi capolavori del passato o i film che, secondo lui, vanno visti, e poi i suoi film (ne ha girati una decina, facendo quasi tutto da solo, dalla sceneggiatura e montaggio), oltre ai suoi numerosi documentari e cortometraggi. Metter piede nella Sala Chaplin, la principale (l’altra è la Lumiere), è come entrare in un sogno ancor prima dell’inizio del film. C’è un pianoforte, i quadri di artisti amici, fotografie autografate, velluti blu e rossi. Per il distanziamento sono stati messi mazzetti di fiori bianchi nei posti assegnati: pura poesia. D’altronde Agosti, nato a Brescia nel marzo 1938, è anche romanziere e poeta (per Mondadori è stato appena ripubblicato il suo Lettere dalla Kirghisia, scritto nel 2004). “Mi hanno costretto a chiudere tre mesi. Ma sai, io il cinema me lo porto dentro, non potrà mai mancarmi. Non so perché molte sale non abbiano riaperto, forse temono che per paura andrebbero in pochi, di non coprire le spese…”, dice Agosti. Che se da una parte ama follemente il cinema, non è tenero con le scelte “facili” e commerciali degli altri. “Se le persone pensano che il cinema sia quello che si vede in giro, allora è meglio che le sale restino chiuse. Il cinema industriale lo paragono a un fast food: se vai a cena solo lì, a fine mese ti ritrovi con la gastrite…”.

 

L’Azzurro Scipioni è aperto solo nel fine settimana. Nella programmazione di luglio ci sono omaggi a Woody Allen (con Zelig e Manhattan) e a Luis Bunuel (con l’Angelo sterminatore e Il fascino discreto della borghesia), e poi La dolce vita di Fellini, Il sorpasso di Dino Risi e molti altri capolavori. I cinema d’essai, quelli dove da ragazzi si passavano pomeriggi interi, in città non ci sono quasi più. “Non mi piace la definizione, il mio è un cinema e basta. Soffro quando le persone restano a casa a vedere film sulle piattaforme o, peggio, le serie tv. Un film a casa non è cinema, è solo televisione. Il cinema è magia, mentre la tv è magnetica. Il grande schermo è unico perché ci fa regredire all’infanzia, ci fa tornare bambini, per una questione di dimensioni, dato che i volti sullo schermo sono alti un metro e lo spettatore gli associa un corpo di almeno sei metri, e quindi l’inconscio vive la propria dimensione come un bimbo di un anno di fronte a un adulto. In tv quest’effetto non c’è. E poi al cinema non ci sono pause, né interruzioni…”, osserva Agosti.

 

Che non si appassiona alla polemica del momento, quella tra i ragazzi del Cinema America che vogliono proiettare i film gratis nelle piazze e le case cinematografiche che non concedono i diritti. “Se proiettare un film gratuitamente servisse a qualcosa, a smuovere coscienze o pensieri, allora va bene. Mi sembra invece un tentativo di spegnere un incendio con un innaffiatoio…”, risponde Agosti. Alcuni registi, complice il Covid ma succedeva anche prima, scelgono di non uscire più nelle sale, andando direttamente sulle piattaforme: tra gli ultimi, Martin Scorsese con The Irishman. “Forse è l’unico modo per realizzare opere che altrimenti non avrebbero fatto. Ma, ripeto, la tv non è cinema. Decidere di uscire con un film su Netflix assomiglia più a fare un programma tv che un film. Quando poi si parla di generi, dai libri al grande schermo, è la morte della cultura”, sostiene Agosti.

 

La brutta notizia per i cinefili romani è che tra un paio d’anni Agosti sarà costretto a cedere l’Azzurro Scipioni perché i costi d’affitto sono diventati insostenibili. “Ma forse ho trovato le persone giuste che continueranno il mio lavoro…”, dice. Quella buona, però, è che, grazie anche al crowfounding, per altri due anni questo gioiellino della cinematografia mondiale sarà ancora qui, nel cuore di Roma.

 

Come ha vissuto il lockdown? “Non mi è cambiato nulla perché dal lunedì al venerdì anche prima ero a casa a scrivere soggetti, sceneggiature, poesie, romanzi. Naturalmente, appena hanno detto che non si poteva uscire di casa, mi sono precipitato fuori. Non ho mai passeggiato tanto come in quel periodo. Mi hanno anche fermato i carabinieri. Ho detto: finalmente mi avete beccato, mi arrendo…! Hanno sorriso, mi hanno fatto firmare un foglio e ho continuato a pedalare sulla mia bicicletta”, racconta il regista. Che nel corso della sua carriera, specie negli anni Settanta, si è visto sequestrare film e documentari per motivi politici. Agosti è rimasto impressionato dalle persone chiuse dentro casa. “Mi è sembrata una prova generale di controllo sociale dello stato sugli individui. Ci siamo bevuti tutto quello che ci dicevano. Prima c’era l’allarme virus e sembrava si dovesse morire tutti, poi, da un giorno all’altro, l’allarme è passato e ora, anche se il vaccino non c’è ancora, il virus sembra quasi scomparso. La dittatura, però, non è in chi ti dice che devi stare a casa, ma nella testa delle persone che obbediscono senza fiatare…”.

 

Sarebbe bello girarci un film su tutto questo, magari con le interviste per strada, come ha fatto più volte lui stesso, in passato. “Spero almeno che qualcuno, in casa, abbia magari avuto modo di riflettere sulla follia dell’esistenza umana. Il capitalismo è un sistema sociale fallito nel 1929, eppure si segue ancora quel modello, con persone tenute in ufficio 8 ore al giorno. Invece di consentire a tutti di pensare a se stessi, crescere, viaggiare, elevarsi, giocare coi figli, leggere libri, guardare film…”.