Roma Capoccia

I nuovi locali che aprono malgrado tutto sfidando crisi, virus e coprifuoco

Gianluca Roselli

Nonostante la chiusura di bar e ristoranti alle 18 ci sono imprenditori che puntano sul rilancio della città

In questo panorama di desolante rassegnazione, con la città che si desertifica alle 18, quando bar e locali sono costretti ad abbassare le saracinesche, in città si registrano anche nuove aperture, con coraggio e un pizzico di follia, regalando così una luce di speranza e ottimismo. “Stay hungry, stay foolish”, diceva Steve Jobs, parole che si addicono a queste iniziative. Partiamo dalla zona di Monte Mario, dove la Balduina incontra via Trionfale e la Camilluccia: qui Daniela Gazzini e Cristina Cattaneo hanno aperto Le Serre (Botanic Garden Restaurant, via Decio Filipponi 1).

 

Daniela e Cristina sono famose in città. Nel 2008 hanno creato Vivi Bistrot, un bistrot, appunto, molto chic, un po’ provenzale, all’interno il parco di Villa Pamphili. Dopo un normale rodaggio, Vivi Bistrot è esploso tanto che per trovare posto per il brunch della domenica bisogna chiamare una settimana prima. Notevole anche l’idea di vendere cestini per il picnic nel parco. “La nostra intenzione era continuare su quella strada, con dei Vivi Bistrot in ogni villa romana, dove abbondano gli edifici abbandonati. Nella sola Villa Pamphili ce ne sono 22. Purtroppo non è stato possibile perché il Comune non fa bandi. Allora abbiamo cambiato piano”, racconta Daniela Gazzini. Il Campidoglio, tra l’altro, voleva chiudere pure Vivi Bistrot, ma poi la questione si è risolta dopo una sollevazione popolare. Così sono venute le aperture a Palazzo Braschi, alla Rinascente, a San Silvestro e alla Galleria Borghese. Le Serre nasce in un ex vivaio (il “green & healty” è la base della filosofia Vivi) all’interno del parco privato di Villa Blumenstihl, dove di solito ci si sposa. “Il luogo ci ha fatto subito battere il cuore. Ci vuole tenacia, un’idea forte e un po’ di salutare incoscienza per aprire con restrizioni e regole che cambiano ogni 3 giorni”, osserva Daniela. Il luogo è incantevole, sembra di stare proprio in una serra, con un dehors di 300 mq che assicura distanze e posti in sicurezza. Ci sono le sedie africane fatte col nylon delle reti da pesca, pezzi di modernariato, un po’ di Marocco, poltrone in velluto e piante a go go. L’atmosfera è allegra ed elegante. Aperto dalla colazione alla cena (quando si potrà), è il classico luogo per tutta la giornata: vengono gli studenti coi libri, lavoratori in smart working col laptop, signore di una certa età per il the delle 5, pubblico medio alto per aperitivo e cena. Un luogo che in questo quadrante di Roma – residenziale, borghese e un po’ serioso – sicuramente mancava. “Ci piace essere un nuovo punto di riferimento per la zona, ma le persone arrivano anche dal resto della città…”, assicurano le proprietarie.

 

Stesso concept, dalla colazione alla cena, ma diversissimo, è il nuovo locale di Alessandro “Alino” Campanozzi, che in fatto di lifestyle in città è punto di riferimento. Suoi erano il mitico Le Cornacchie e il Pastificio San Lorenzo, uno dei primi locali in stile newyorkese della capitale, con il grande bancone all’ingresso per bere qualcosa in attesa del tavolo. Ora, insieme ad Alessia Bulgari e Fabio Casentini (proprietario del Salotto Caronte), ha aperto Casadante, che prende il nome dall’omonima piazza nel quartiere Esquilino (piazza Dante 8). Di fronte sorge il nuovo palazzone dei servizi d’intelligence (Aise, Aisi e Dis). “E’ un punto di Roma poco conosciuto, mi piace che i clienti si stupiscano venendo qui”, dice Alino Campanozzi. Il locale è necessariamente un po’ industrial (era un’ex officina), ma “caldo”. Molto è stato realizzato con materiali di recupero: vecchie porte riadattate come bancone, librerie di ferro per gli scaffali, parquet di una vecchia palestra indiana, divani Chesterfield, uno spettacolare lucernario. Gli oggetti sono anche in vendita. “Per il Covid non abbiamo potuto fare l’opening, ma meglio così: ci stiamo facendo conoscere con un contagioso passaparola, nel quartiere e in tutta la città. Anche la comunicazione eccessiva sui social ha stancato. Le persone non devono avere la sensazione di andare in un posto dove vanno tutti, ma di un luogo intimo, segreto, esclusivo. Vogliamo essere un punto riferimento per chi vive qui e un prezioso indirizzo per gli altri”, afferma Campanozzi. Che non si capacita del lockdown alle 18. “Sarebbe stato più giusto avere regole magari più stringenti, con controlli severi, ma restando aperti”, dice.

 

Si respira atmosfera argentina, invece, a Largo del Teatro Valle (civico 7), in pieno centro, dove è appena nato El Porteño, ristorante argentino made in Milano che ora ha aperto la sua prima sede romana. “Tutti ci dicevano che Roma è una piazza difficile, invece la risposta è andata ben oltre le aspettative. I romani hanno una voglia pazzesca di cenare in un luogo dove food, ambiente e servizio siano sullo stesso piano. Se manca uno di questi tre elementi, un locale non funziona”, spiega il titolare Fabio Acampora (gli altri due sono i fratelli argentini Alejandro e Sebastian Bernandez). Insomma, si sa: nessuno va più a cena fuori solo per mangiare bene. Ci vuole l’ambiente e tutto il resto. E qui, grazie agli arredi d’importazione sudamericana, sembra davvero di stare a Buenos Aires. Empanadas, controfiletto argentino e Malbec fanno il resto. L’offerta argentina, del resto, in città era carente. “E’ triste dover richiudere la sera. Il provvedimento sembra fin troppo punitivo, la logica mi pare quella del lockdown mascherato”, aggiunge Acampora. Infine, un grande ritorno. Riaprirà presto il mitico Caffè Parnaso a piazza delle Muse, nel cuore dei Parioli. Bar dove hanno passato pomeriggi intere generazioni di romani. Dove le gran dame si davano appuntamento per un light lunch e al tavolo a fianco si parlava d’affari. Luogo pure letterario, come sanno bene Giorgio Montefoschi e Alessandro Piperno. “La nuova gestione presenta un concept moderno ma con radici nell’essenza di un luogo storico”, dice su Facebook la nuova proprietà. Pariolini e “romanordisti” di ogni età sono in trepida attesa, anche se lì intorno nuovi e bei locali non mancano.

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