Lei, Virginia Raggi, vede il suo bicchiere mezzo pieno, apre sullo stadio della Roma e si dice pronta a ricandidarsi anche in caso di sentenza di condanna sul caso Marra (“vado avanti, la città ha bisogno di una guida onesta”). Lui, Matteo Salvini, vede il bicchiere altrui mezzo vuoto e, dando l’avvio al suo giro romano pre-campagna elettorale – ogni settimana un quartiere, al grido di “Bye Bye Raggi” – ha definito la sindaca “scema”. La miccia era stata il commento di Raggi alla visita di Salvini a Centocelle: “Ha aperto i campi rom, uno fu sgomberato senza bonifiche, invece noi facciamo la bonifica”. Al di là del contro-commento del leader della Lega – “…un sindaco che ha perso quattro anni e mezzo dovrebbe chiedere scusa e cambiare mestiere…”, lo scambio si colloca al blocco di ripartenza della competizione tra due esponenti di due forze politiche populiste, un tempo alleate e ora avversarie – un sindaco e un leader di partito che, già nel 2018, avevano cominciato a duellare sul confine della legge e dell’ordine, facendosi simbolicamente fotografare, a distanza di poche ore, accanto agli scheletri delle ville demolite dei Casamonica. Ma la loro competizione, fuori dal lessico insultante, segnala altro sui rispettivi fronti interni.
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