Ci si può ancora innamorare di Roma? E da dove si può partire per fermare il declino? Papi e Stato, errori e opportunità perdute, ma anche un pensiero che vada oltre le buche nelle strade
A che punto è Roma? E a che punto è il centrosinistra, a Roma? Conosce bene la città il non romano Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Pd, a lungo parlamentare e testimone della storia Pci-Pds-Ds-Pd. “A volte mi chiedo”, dice Cuperlo, ”se chi parla di Roma la conosce veramente, e subito dopo la domanda è se di questa città ci si può ancora innamorare. Stupire senza dubbio sì: ti può sequestrare i sentimenti in ogni momento. Volerle bene non so, perché la decadenza che ha vissuto ti parla. Lo fa ogni volta che piove o tira vento e ti chiedi quanti alberi verranno giù”. Poi c’è l’altro elemento: “Di Roma ce n’è più di una. Il mio è il secondo Municipio, più o meno centosettantamila persone, sarebbe la ventunesima città italiana per numero di abitanti. Ma nel VII Municipio sono circa trecentomila. Lo so che sono solo numeri, ma danno la misura di cosa voglia dire governare un posto così. Governare, non amministrare. Roma non la amministri. Roma la pensi, la racconti dentro un progetto di Città Capitale. È il simbolo della cristianità, la Chiesa ha qui radici di grandezza e tragedia. San Macuto ospita le Commissioni bicamerali, ma fu il palazzo dell’Inquisizione, lì nel 1633 abiurò Galileo. Non è un caso se i grandi sindaci hanno sempre vissuto l’onere e l’onore di un’idea sulla quale poggiare, da Nathan ad Argan a Petroselli ai sindaci della rinascita anni ‘90, Rutelli e Veltroni”.
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