La sua voce vola flebile e sottile sul prato verde dell’Olimpico. “Questo qua è il sesto, eh”, ripete. Per cinque volte. Lorenzo Pellegrini è in piedi accanto a Paulo Fonseca. Parla fitto con la panchina mentre il mister guarda dritto davanti a sé con la faccia esitante. C’è qualcosa di sinistro in quello che sta succedendo. E non solo perché la Roma sta pareggiando contro le riserve dello Spezia negli ottavi di Coppa Italia. I supplementari sono iniziati appena da una manciata di secondi e Mancini e Pau Lopez si sono già fatti espellere. Così ora bisogna correre ai ripari. E’ lì che la serata dell’Olimpico smette di essere un incubo per diventare simbolo. Fonseca manda in campo Ibanez e Fuzato. Solo che di cambi ne aveva già fatti quattro. Uno è di troppo. Il regolamento è violato, il destino già scritto. I gol del mai rimpianto ex Verde e di Saponara sono quasi un sollievo. Perché una ipotetica vittoria sarebbe stata certamente cancellata da una sconfitta a tavolino. Il senso della serata dell’Olimpico è racchiuso tutto in quello sguardo di Fonseca. La Roma non ha perso una partita contro un avversario morbido. Ha perso soprattutto la faccia. Un’altra volta. La Roma ha fatto la Roma. Un club che usa il suicidio sportivo come marchio di fabbrica. Appena quattro giorni dopo un derby che si era trasformato in psicodramma. Almeno per i tifosi. Una storia che si ripete come un loop orroroso, dove le sconfitte vengono dilatate fino a diventare estreme, dove la luce diventa buio in una frazione di secondo. La Roma non si limita a perdere. Deve farsi umiliare, deve imbarcare acqua e poi colare a picco.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE