RomaCapoccia
Raggi appesa a un solo voto in Consiglio. Ma nessuno infierisce
Perso un altro consigliere, la sindaca subisce adesso i diktat dei frondisti grillini. E l’opposizione non ne approfitta
Sbadigli, stiracchiamenti, schermo a nero. Due giorni fa la sindaca di Roma Virginia Raggi ha perso l’ennesima consigliera e con questo addio è rimasta praticamente senza maggioranza in Aula Giulio Cesare. Eppure il giorno successivo in un sonnacchioso pomeriggio, nell’Assemblea capitolina tornata in versione videoconferenza a causa della zona rossa, quasi sembrerebbe che non sia successo niente. E la ragione è semplice: probabilmente potrebbe non cambiare niente. La consigliera Gemma Guerrini due giorni fa aveva annunciato il suo addio spiegando: “Non supporterò nessuna forza politica che sosterrà la candidatura dell’attuale sindaca alle prossime elezioni”. Non solo. Aveva lanciato anche un pericoloso avvertimento: sul piano industriale di Ama non ci sarà il mio voto favorevole. All’ordine dei lavori di ieri il primo punto era proprio il voto sul provvedimento citato dalla consigliera (una questione sospensiva alla discussione in realtà). Alla votazione ha partecipato, forse per evitare brutte sorprese, anche la sindaca Raggi, ma il risultato sembra promettere tranquillità: su 44 totali i voti favorevoli sono stati 26. Buona la prima.
D’altronde almeno per adesso le opposizioni non hanno cercato d’innescare la crisi: nessuno ha presentato mozioni di sfiducia, anche se, comunque, nessuno esclude di farlo. La ragione la spiegavano in maniera quasi speculare i capigruppo in Assemblea di Pd, Fratelli d’Italia e Lega, Giulio Pelonzi e Andrea De Priamo e Maurizio Politi. “La mozione si fa se ci sono i numeri per approvarla”. Contando sé stessa infatti la sindaca ha ancora una risicatissima maggioranza: 25 voti contro i 24 delle opposizioni. La vera questione, dunque, è quello che faranno i quattro dissidenti, la fronda interna alla maggioranza contraria alla sua ricandidatura, ma comunque ancora dentro al gruppo 5 stelle. Enrico Stefàno, Donatella Iorio, Marco Terranova e Angelo Sturni. Su di loro oggi come nelle prossime settimane sono puntati gli occhi e le attenzioni della giunta e delle opposizioni. Dai loro movimenti dipende il futuro di Virginia Raggi. I quattro consiglieri ieri in una nota spiegavano la loro posizione pesando una ad una le parole: “Siamo disposti a proseguire con un atteggiamento costruttivo e propositivo fino al compimento della consiliatura se quanto da noi richiesto e proposto verrà messo seriamente in atto”. Più che uno strappo, una decisa sottolineatura del nuovo potere contrattuale assunto in questo momento: siamo leali, ma ci dovete ascoltare. E la lista delle richieste è lunga e dà la dimensione del nuovo peso politico assunto dai quattro consiglieri: “Non voteremo più – scrivono – atti che arriveranno in Aula a pochi giorni dalla scadenza e che riterremo non strettamente legati all’attuazione del programma. Chiediamo che la sindaca presenzi in Aula a tutte le votazioni delle proposte di giunta e che gli atti siano sempre rappresentati e discussi nelle commissioni competenti per tutto il tempo necessario”. E ieri la sindaca in Aula c’è andata.
Intanto nel corso di una trasmissione radiofonica nel pomeriggio il capogruppo del M5s in consiglio comunale Giul iano Pacetti provava ad inviare ai quattro consiglieri parole di pace ricordando come “riguardo al futuro ognuno può avere il proprio punto di vista, ma qualora cambiassero idea le porte sono aperte visto che sono stati consiglieri che hanno dato un valore aggiunto a questa amministrazione”. Per adesso dunque un equilibrio sembra esserci. Precario, ma reale. E’ proprio per questo che per presentare un’eventuale mozione di sfiducia le opposizioni preferiscono attendere. Se non un’esplicita decisione di staccare la spina alla maggioranza da parte della fronda, almeno un atto sulla quale Virginia Raggi possa andare sotto con i numeri. Se accadesse le cose potrebbero poi precipitare in fretta. In ogni caso, da oggi in avanti, per far approvare le delibere della sua giunta Virginia Raggi dovrà trattare di volta in volta con la fronda che promette “non sarà disposta a votare provvedimenti di mera campagna elettorale”.