Roma Capoccia
Un giro tra chi viene escluso dai prepotenti anti Bolkestein
Il sistema romano delle licenze è fermo a trent'anni fa. La scelta della Raggi di non rinnovarle è stata comunicata con la solita retorica grillina ma forse è quella giusta
Roma. Grice, carbonare e amatricane. Tutte cucinate con ingredienti di prima scelta, da gustare camminando o seduti per strada dentro piccoli contenitori di cartone. Pietro Felicetti, 48 anni, fino a qualche anno fa faceva l’architetto. “Con mia moglie lavoravamo nell’ambito delle ristrutturazioni d’interni, con la crisi le cose non si sono messe bene, il lavoro è calato molto”. Pietro ha deciso di cambiare vita. “Sono un’appassionato dei primi piatti della tradizione, da mangiare e da cucinare, così ho deciso di buttarmi”. Ha acquistato un apecar e tutto l’occorrente per la cucina di strada e si è lanciato in una nuova impresa. Subito però ha capito che le cose sarebbero state più complesse del previsto.
“A Roma è impossibile riuscire ad ottenere una licenza di tipo A, quella che ti permette di avere a rotazione una postazione per somministrare i pasti, è tutto bloccato dagli anni 90”. Così, nonostante le menzioni sul Gambero rosso e un prodotto impeccabile da offrire a cittadini e turisti, ha dovuto cambiare strategia. “Ho ottenuto una licenza di tipo B nel comune di Monterotondo, queste licenze nascevano per i venditori di patate, in pratica posso occupare il suolo pubblico solo per il tempo strettamente necessario a servire il cliente, poi devo ripartire, altrimenti scattano le multe”.
Per rendere il suo business sostenibile l’ex architetto ha dovuto inventarsi qualcos’altro. Ha cominciato a muoversi per fiere e feste aziendali. “Ho lavorato per Mercedes, Ikea, Monsanto, l’ambasciata britannica. È un lavoro diverso, ma me la sono cavata. Spesso, purtroppo, devi pagare a chi ha organizzato una quota percentuale che arriva anche al 25 per cento”. Lo stesso vale per gli eventi cittadini. “In quei casi posso andare e cucinare senza bisogno di licenze, ma pagando 150 euro per l’occupazione di suolo pubblico”.
Anche lui, come tutti i romani, ieri mattina ha visto le proteste degli ambulanti. “Quello che mi chiedo – dice – è chi è che sta protestando? Se sono davvero persone che rimarrebbero senza lavoro non posso che stare dalla loro parte, ma se, come temo, a manifestare sono quelli che subaffittano le postazioni faccio davvero fatica a solidarizzare”. Anche a lui è stata offerta la possibilità di affittare una licenza. “Mi hanno proposto un ‘affarone’ – ride – con 2mila euro al mese mi affittavano un posteggio a rotazione per la somministrazione a Roma, solo che non dovevo fatturare nulla e fare tutto in nero, ho declinato”. Pietro è scettico sull’iniziativa della sindaca Virginia Raggi di stoppare i rinnovi delle licenze per rimetterli a bando: “Sarebbe bello, ma non ce la farà mai, ci sono famiglie del settore che hanno legami politici troppo forti, la bloccheranno. Certo – ammette – se ci riuscisse, mi piacerebbe molto offrire ai turisti, quando torneranno, un buon piatto di gricia a prezzi da street food invece che i soliti paninacci nelle buste di plastica pagati a peso d’oro”.
Proprio sulla possibilità di aprire a nuovi imprenditori il mercato delle postazioni ambulanti in città si basa la scelta di Virginia Raggi e dell’assessore Andrea Coia di mettere a bando le licenze in scadenza. Gli ambulanti che ieri erano in piazza a protestare però non ci stanno. Spiega Marrigo Rosato, presidente nazionale di Ana Ugl: “Nessuno impedisce alla sindaca di rilasciare nuove licenze. Mentre lei ha fatto una scelta politica per fare vedere che colpisce alcune famiglie e invece sta colpendo tutti, anche chi con una licenza fa campare un’intera famiglia”. E quelli che subaffittano? “Non fanno nulla d’illegale, l’affitto di ramo d’azienda è previsto dal decreto Bersani: c’è chi investe in mattoni, chi in finanza e chi lo fa nelle licenze. Così si consente anche a chi non ha la possibilità di acquistarsi una licenza di poterla gestire temporaneamente, è anche un’operazione di carattere sociale”.