Esperienza lisergica: la metro a Termini, entri nella A esci nella B
Nella Capitale amministrata dalla Raggi è complicato pure prendere la metropolitana
Il diavolo si nasconde nei dettagli. O nei piccoli particolari. Così succede che alla vigilia d’una campagna elettorale che in pratica è già partita, con Virginia Raggi e Carlo Calenda in campo e il Pd che aspetta le primarie per lanciare Roberto Gualtieri (all’appello manca però ancora il centrodestra), si fa un gran parlare del rilancio della città. Roma è pronta a ripartire insieme all’Italia nel post Covid? Basterà il miliardo di euro del Pnrr per rimettere in moto la Capitale? Non per fare sempre i soliti paragoni, ma la sensazione è che Milano sia già in ripresa, mentre qui si aspetta l’arrivo messianico del sindaco, come se tutto potesse essere risolto dalla politica. Ma così non è. E comunque ottobre sarà già tardi. La ripartenza è adesso.
Mentre ci si arrovella su questi temi, succede che un giorno si arrivi alla stazione Termini e si debba prendere la metro. Termini è molto migliorata: più pulita, luminosa, moderna, funzionale. Con una nuova terrazza che ancora vede alcune attività chiuse per il Covid, ma che presto tornerà a scintillare con caffè, negozi e bistrot.
Per prendere la metro, però, si scende. E qui iniziano le difficoltà, perché la “M” tra le varie indicazioni si trova con una certa difficoltà. E’ quasi nascosta, come messa lì per caso, si vede poco e male. Per incamminarsi verso la giusta direzione bisogna aguzzare la vista e anche l’ingegno. Ma il bello deve ancora arrivare. Perché, dopo una camminata piuttosto tortuosa, continuando a seguire la nostra M, per prendere la Metro A si sbuca a sorpresa sulla banchina della Metro B. Avremo sbagliato strada? Chissà. Di certo si era in buona compagnia.
A quel punto, un po’ affranti, si decide di chiedere al personale. “Lei timbri pure il biglietto, prosegua sulla banchina e segua le indicazioni per la A”, dicono gli addetti, con l’aria di chi quella domanda se l’è sentita rivolgere centinaia di volte. E infatti per intravedere la A bisogna percorrere mezza banchina della B, facendo slalom con la valigia tra i passeggeri. Alla fine eccola, finalmente, l’agognata linea A, ma per raggiungerla si camminerà per un altro lungo tratto in cui si alterneranno sottopassi e scale in cui il bagaglio bisognerà incollarselo a mano (e forse, viste le sfortune delle scale mobili romane, è meglio così). Poi si arriverà, un po’ esausti, all’agognata banchina della A che, ricordiamo, è la linea principale della città, la rossa, la più frequentata. E qui vien da chiedersi: se gli italiani, anzi i romani, debbono fare questo lungo percorso a ostacoli, immaginiamo lo spaesamento di uno straniero in arrivo a Termini. What’s the way to the subway?
E’ di questi giorni la notizia che il Comune rischia di perdere 180 milioni per l’ammodernamento delle linee A e B. Per aggiudicarseli il Campidoglio dovrebbe indire una gara entro la fine dell’anno, ma l’unica società appaltante che può aggiudicarsi l’incarico è Roma Metropolitane, che però da 15 mesi è in liquidazione e non può ricevere nuovi affidamenti. La situazione potrebbe essere sbloccata con l’arrivo di un commissario liquidatore, ma per ora è tutto fermo. Col rischio di perdere quei denari.
Però ecco, in vista della campagna elettorale, prima di azzardare grandi voli pindarici sul ruolo della Capitale da qui a vent’anni, su come trasformare la città e restituirle prestigio internazionale, sarebbe il caso di partire dai fondamentali. Per esempio: scendere dal treno a Termini e prendere la metro con facilità. Sarebbe già un passo avanti.